Il sistema integrato delle comunicazioni, definito dalla cd. legge Gasparri, rappresenta in Italia l’unica copertura legislativa in materia di regolazione delle partecipazioni incrociate tra stampa e televisioni. E la possibile scadenza entro questo mese del divieto di acquisizione di un quotidiano nazionale per chi sia titolare di più di un’emittente televisiva, sottolinea di fatto una certa distanza del nostro paese dal contesto europeo (ad eccezione forse della sola Spagna). Soprattutto se tale divieto rappresenti l’unica norma posta a tutela del pluralismo dell’informazione.
Là dove consultazioni pubbliche e dibattiti parlamentari si ergono a garanti della trasparenza al fine di scongiurare posizioni di predominio nel mercato dei media, qui in Italia ne fanno le veci le affannate segnalazioni dell’Agcom e dell’Antitrust. L’ultima è datata 2 marzo 2011. Il Presidente dell’Authority notificava alla Presidenza del Consiglio e alle Camere, l’inopportunità che l’atto di proroga di un divieto così cruciale quale quello degli incroci proprietari tra giornali e tv, dipendesse dalla discrezionalità di un Premier titolare di evidenti interessi patrimoniali, non a caso, proprio nel settore oggetto del provvedimento di legge.
Ma basterebbe spostarsi in Germania per incontrare un caso limite (anche per l’Europa) e qualche differenza sostanziale nelle modalità di regolazione della concorrenza nel mercato editoriale. Sin dal 1997, la Commissione sulla concentrazione nei media tedesca (KEK) impone quale limite di espansione delle partecipazioni di un editore in altri media, la nozione di “influenza predominante” sull’opinione pubblica. La KEK calcola l’incidenza di indicatori come il potere suggestivo del messaggio diffuso (mediante il linguaggio utilizzato, la combinazione di immagini e parole etc.), la potenzialità nel raggiungere un pubblico più o meno ampio e l’attualità delle notizie offerte.
Il potere predominante si ritiene raggiunto quando un editore arrivi ad influenzare il 30% dell’opinione pubblica, oppure il solo 25%, ma detenendo al contempo posizioni rilevanti anche in altri settori della comunicazione (Televisioni, Radio, Giornali, Internet).
In questo caso è un criterio di tipo qualitativo, non solo di natura economica, quello utilizzato nella disposizione delle cross-ownerships rules. Il che dimostra un approccio più attento a garantire un pluralismo di contenuti e di percezioni piuttosto che una mera diversificazione di assetti proprietari. Un modo di intendere la regolazione antitrust che ha indotto un gruppo solido come Axel Springer a costituire un modello di business vincente per l’era delle nuove tecnologie. Rinunciando ad espandersi nella televisione, la società editrice tedesca ha infatti concentrato le proprie energie nelle pubblicazioni su carta attraverso quotidiani come Bild (il più venduto in Europa, con 2,3 Mln di copie al giorno), Die Welt e la creazione ed acquisizione di siti web e portali online, facendone uno dei maggiori mercati digitali europei.
Nonostante gli evidenti limiti di applicazione del metodo di calcolo dell’”influenza predominante” sull’opinione pubblica, è pur vero che approcci come questo possano spianare la strada a provvedimenti di regolazione che sfruttino positivamente l’avvento delle nuove tecnologie. Magari valorizzando il grado di sostituibilità dei singoli media, valutandone la reale capacità di influenzare gli utenti all’atto di formulare un’opinione o di accedere alle informazioni. Una condizione che basterebbe da sola a scongiurare pratiche di concentrazione rischiose per la democrazia.
Manuela Avino
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