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Diritto all’oblio: l’insensata fuga in avanti dell’Italia

Il ddl approvato al Senato introduce una forma atipica di diritto all’oblio: sì alla cancellazione anche dai siti e non solo dai motori di ricerca di contenuti diffamatori o dati personali trattati in violazione della legge.

I Garanti europei per la protezione dei dati personali (DPAs) però segnano la strada in senso opposto a quella tracciata dal legislatore italiano: per garantire la libertà di informazione no alla cancellazione dal sito sorgente, in modo che le informazioni rimangano accessibili con parole chiave diverse dal nome proprio. E’ questo il succo delle linee guida emanate lo scorso 26 novembre a seguito della  sentenza della Corte europea di Giustizia che ha visto vittorioso l’imprenditore spagnolo Gonzalez contro Google.
Nel frattempo il mondo accademico continua ad interrogarsi sulla storica sentenza che ha imposto a Google la deindicizzazione della notizia relativa al pignoramento dei beni dell’imprenditore spagnolo: quali sono i rischi se è un colosso come Google a scegliere cosa cancellare?

Il diritto all’oblio secondo il legislatore italiano: una nozione sbagliata
Nella disciplina contenuta nel ddl approvato in Senato si consente la cancellazione di notizie ritenute “diffamatorie o trattate in violazione di disposizioni di legge”: ma che c’entra questo col diritto all’oblio?
E’ l’elemento del tempo trascorso a far sorgere in capo al soggetto il diritto ad essere dimenticato. Lo ha detto anche la Cassazione nel 2012: l’oblio può avere ad oggetto« informazioni potenzialmente lesive in ragione della perdita di attualità delle stesse».

Cosa c’entra, dunque, la diffamazione o la violazione della legge? Il rischio è l’ingresso nel panorama giuridico dell’ennesima norma inutile, che duplica una disciplina già propria dell’obbligo di rettifica e delle norme sulla privacy.

Cancellare le notizie dai motori di ricerca: no se si tratta di un personaggio pubblico
La norma introdotta al Senato, se confermata dalla Camera, consentirà non solo la deindicizzazione, ma anche la cancellazione delle notizie dal sito sorgente.

Eppure i Garanti europei per la protezione dei dati personali – da pochi giorni presieduti dall’italiano Giovanni Buttarelli – nelle linee guida per l’implementazione della sentenza Google Spain and Icn contro l’Agenzia Spagnola per la protezione dei dati (AEPD) e Mario Costeja Gonzalez dicono testualmente: «I risultati non devono essere soppressi se prevale l’interesse del pubblico ad avere accesso a tali informazioni».
E’ questo il caso delle personalità pubbliche. In questo caso, secondo i Garanti, i motori di ricerca dovranno valutare con attenzione se procedere alla rimozione. In gioco c’è il diritto ad informare ed essere informati, che – dicono i Garanti europei – in alcuni casi può prevalere sul diritto del singolo ad essere dimenticato per notizie passate e prive di attualità.

Se Google diventa un giudice
Di fronte al boom di richieste di cancellazione arrivate all’indomani della sentenza che ha visto il signor Gonzales vittorioso, Google ha predisposto un modulo a disposizione degli utenti desiderosi di deindicizzare notizie che li riguardano. Pur in presenza delle recenti linee guida dei Garanti resta però un ultimo dubbio sulla sentenza della Corte di Giustizia europea, che ancora fa discutere la dottrina. La società di Larry Page e Sergey Brin e gli altri motori di ricerca – che hanno come fine il profitto e non la protezione dei dati personali o della libertà di informazione – sono davvero il giudice più adatto a decidere se rimuovere una notizia dai loro stessi risultati di ricerca?

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