La bozza del decreto legge allo studio del CdM, nella versione divulgata nelle scorse ore da “La Stampa”, più che legittimare otterrebbe di estendere oltremodo le competenze dell’Autorità in materia di tutela del copyright su internet. Tanto da far sperare a taluni giuristi che si tratti di un’autentica burla. Vediamo di capire il perché.
Le previsioni contenute nel facsimile circolato da ieri, in pochi passaggi, darebbero all’Agcom carta bianca nell’attivare procedure di intervento volte a contrastare e sanzionare condotte illecite di rango penale che la legge sul diritto d’autore prescrive di affidare in via giurisdizionale all’autorità giudiziaria (art.171,comma 1,lett. a-bis, L.d.A). Peraltro l’art.182-bis della L.633/1941 in questione, che designa gli ambiti di “vigilanza” dell’Agcom senza però alcun riferimento alle reti di comunicazione elettronica, una volta letto in combinato diposto con l’art.182ter del medesimo testo, a scanso di equivoci, prescrive che, in caso di accertamento di violazione, “vada compilato processo verbale da trasmettere nell’immediato agli organi di polizia giudiziaria”. Aspetto che varrebbe da solo a confermare l’assenza di un vero e proprio “pilastro” normativo atto a fondare una competenza di intervento tout court dell’Authority in tale specifica materia.
Un impasse che perciò l’art.1 della bozza di decreto circolata da ieri (una delle 10 a quanto pare esistenti) pretenderebbe di “sanare” e che recita: “all’Autorità è altresì affidata la risoluzione extragiudiziale delle controversie aventi ad oggetto l’applicazione sulle reti telematiche della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni. Per tali controversie opera la sospensione dei termini processuali prevista dall’art. 1, comma 11, della legge 31 luglio 1997, n. 249”. Trattasi della legge istitutiva dell’Agcom che nel comma 11 richiamato prevede, per le controversie individuate con suoi provvedimenti amministrativi, l’impossibilità dei privati di presentare “ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione da ultimare entro trenta giorni dalla proposizione dell’istanza all’Autorità”. Aspetto che sembra contraddire quanto disposto nell’ultima bozza della delibera 398/11/CONS passata a consultazione il 6 luglio scorso, che garantiva l’opportunità per i presunti trasgressori (i titolari dei siti internet incriminati) di interrompere in qualsiasi momento l’iter di giudizio amministrativo per invocare l’intervento della Magistratura.
La stessa ragion d’essere del decreto di “interpretazione autentica”, così formulato, otterrebbe in pratica di bypassare il Parlamento chiamato a legiferare e configurando pertanto il rischio di un conflitto di competenze nella prassi di intervento delegata all’Agcom, chiamata ad introdurre, de facto, fattispecie in grado di estendere o restringere l’ambito di applicazione della normativa in oggetto così come inquadrata dalla legge 633/1941. Una cornice normativa che allo stato attuale, non prevede una discilplina puntuale delle “utilizzazioni libere” dei contenuti sulle reti di comunicazione elettronica. Un limite a cui l’Autorità pretenderebbe di ovviare mediante l’introduzione di linee guida sommarie (art. 10 della delibera 398/2011) fungenti da veri e propri “principi in deroga” applicati nella prassi dei provvedimenti amministrattivi ma non contemplati dalla legge sul Diritto d’Autore (art. 65 e 70).
Non solo, la bozza di decreto in analisi sancirebbe anche tempi stretti (entro trenta giorni dalla sua entrata in vigore) sull’approvazione del regolamento Agcom atto a disciplinare in via amministrativa le procedure di notifica e rimozione dei contenuti protetti, “in qualunque modo” resi accessibili in Italia in violazione del copyright. Il testo non solo formalizza una responsabilità specifica (se non esclusiva) in capo all’Autorità nel gestire ordini e diffide in caso di accertata inottemperanza all’obbligo di rimozione dei contenuti illeciti ma ne dispone anche un potere sanzionatorio che la legge 249/97 (nell’art. 1, comma 6, lett. b) limiterebbe invece ai soli ambiti di “vigilanza” richiamati dal citato art. 182-bis L.d.A. che non fa alcun cenno alle piattaforme di trasmissione digitale dei contenuti offerte da internet. E nè l’art.98 del Codice delle Comunicazioni elettroniche (decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259) delegherebbe all’Autorità alcun intervento sanzionatorio “diretto” verso i titolari dei siti internet, chiamati in causa dalle valutazioni sommarie di un giudice amministrativo. Si tratterebbe di una “broad delegation” a tutti gli effetti che consentirebbe all’Agcom di comminare multe tra i 12mila ed i 250mila euro per sanzionare illeciti di non sua competenza.
Ma la bozza di decreto va persino oltre, come peraltro ammesso dal suo stesso curatore, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Antonio Catricalà che in un’intervista a “La Stampa” ne ha di fatto negato l’ufficialità oltre che l’aderenza ad una delle quattro versioni da lui possedute. Il Sottosegretario ha tutte le ragioni a voler mettere le mani avanti. L’art.4 del facsimile girato nelle scorse ore disporrebbe che l’Autorità “in casi di particolare gravità ovvero se le violazioni dovessero ripetersi” provveda alla “completa disabilitazione dell’accesso al servizio telematico oppure – salvataggio in corner – nel caso in cui sia tecnicamente possibile, ai soli contenuti resi accessibili in violazione delle norme sul diritto d’autore (comma 2)”. Una previsione che sembra richiamare, nella prima parte, l’istituto dell’Hadopi francese, la famigerata legge dei tre colpi tanto voluta dal Presidente Sarkozy mediante cui i trasgressori giunti al terzo round di avvertimenti posti in essere dall’Autorità garante transalpina – grazie al monitoraggio continuo del traffico degli utenti – verrebbero del tutto tagliati fuori dall’accesso ad internet dagli stessi provider di rete a cui sono abbonati. Un punto su cui Aiip e Assoprovider in Italia si sono sempre pronunciati a sfavore, contestando finanche il ruolo “attivo” prescritto dal Regolamento nella misura in cui tutti i prestatori di servizi di hosting, cashing e mere conduit dovrebbero adeguare (art. 16 Disposizioni finali della delibera 398/2011) le proprie condizioni contrattuali, informando preventivamente i propri clienti sulla previsione di un eventuale intervento di rimozione dei contenuti o (in via transitoria) del blocco dell’intero sito via Ip e Dns.
Intanto i primi commenti sulla presunta bozza di provvedimento non si sono fatti attendere. I senatori Vincenzo Vita e Luigi Vimercati parlano a tal proposito di “norma pericolosa che può dar adito ad un taglio fortemente censorio del futuro regolamento sul diritto d’autore. Un impianto che va oltre lo stesso prudente orientamento fin qui manifestato dal presidente Calabrò”. Per l’avv. Fulvio Sarzana la futura “Super Agcom” si risolverà in un “tribunale speciale in via amministrativa che giudicherà dei reati legati ad internet, esercitando al contempo i poteri spettanti in precedenza alle forze di polizia”. Mentre per il responsabile del team legale di Agoradigitale, l’avv. Marco Scialdone, si tratterebbe di “un vero e proprio
capolavoro di pressappochismo giuridico che corre il rischio di vanificare le competenze delle altre autorità di garanzia, da quella della Concorrenza e del Mercato, a quella per la tutela dei dati personali”.
Anche se i dubbi sull’autenticità della bozza del decreto sussitono, è comunque un fatto che la scadenza del mandato dell’Agcom sia ormai vicina e con essa l’imminente approvazione a porte chiuse di un regolamento senza che venga allestito un pubblico dibattito in Parlamento.
Alberto De Bellis
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