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Diritto d’autore e Internet: i contenuti vanno protetti? In Francia e Germania Google paga. In Italia decide l’Agcom

Come gestire i contenuti protetti sul web? Sarà probabilmente questa la domanda che assillerà editori, Autorità competenti e colossi del web per il futuro prossimo. Trovare un equilibrio tra libertà di informazione e tutela del diritto d’autore non è facile (vedi http://www.editoria.tv/editoria/carta-in-crisi-e-web-minacciato-dal-diritto-dautore-quale-informazione-per-il-futuro-2/). Innanzitutto bisogna chiedersi se è giusto credere in un copyright sulla rete e della rete. Poi ci sarebbe da creare un modello di business che tragga profitto dai contenuti creati senza intaccare la libertà del web.
Andrebbe cercata una soluzione su scala internazionale. In quanto Internet non ha confini. Va considerata la posizione e il ruolo dei cosiddetti giganti del web e degli aggregatori di contenuti. Tra tutti Google News. Le posizioni a riguardo sono queste: gli editori e le associazioni di categoria non vogliono che gli aggregatori si approprino gratis dei contenuti; gli aggregatori, invece, affermano che grazie a loro i contenuti hanno una visibilità maggiore e quindi maggiori introiti pubblicitari. In ogni caso ogni Paese sta procedendo con una propria politica. Ad esempio in Francia Google dovrà pagare 60 milioni di euro l’anno agli editori per usare i contenuti. Sulla stessa strada si stanno incamminando la Germania (con la Google tax), la Spagna e il Portogallo. Invece in Brasile, dal 2012, il 90% delle testate ha deciso di non comparire su Google News in quanto non era previsto alcun rimborso. In Usa e in Giappone a dettare le regole generali c’è l’Acta (Anti Counterfeiting Trade Agreement). Si tratta di un accordo commerciale plurilaterale volto a tutelare copyright, proprietà intellettuali, brevetti su beni, servizi e attività legati alla rete. Gli Stati Uniti, uno dei maggiori pionieri dell’Acta, sono molto decisi a contrastare i corsari della rete. Emblematica a riguardo la dichiarazione di Stanford McCoy, responsabile dell’Ustr (organismo che si occupa di tutela del copyright negli Usa): «La creatività e l’innovazione sono priorità strategiche. Quindi vanno tutelate dai siti canaglia. La pirateria danneggia il mercato e scoraggia gli investimenti. La rete deve continuare ad essere libera. Ma ciò non significa il permesso di rubare».
E cosa succede in Italia? In effetti la situazione è molto poco chiara. Infatti la Penisola è entrata nella cosiddetta “lista grigia” degli Stati per la tutela del diritto d’autore. Negli anni passati l’Agcom ha provato a varare un regolamento. Ma non ne è uscito nulla di concreto e significativo. Anche se non sono mancate delle proposte. Si è parlato di una rimozione “forzata” dei contenuti pirata scavalcando la magistratura. Per Giovanni Legnini, sottosegretario con delega all’editoria, serve un accordo economico (sul modello francese) con gli aggregatori di contenuti.
La situazione potrebbe anche sbloccarsi nei prossimi mesi. L’Agcom, il 25 luglio scorso, ha presentato un nuovo schema di regolamento sul diritto d’autore online. Il testo, che consta di 19 articoli, è stato sottoposto a consultazione pubblica per 60 giorni. (ecco il testo del regolamento http://www.agcom.it/Default.aspx?message=visualizzadocument&DocID=11564). La “ratio” del regolamento su basa sulla rimozione coatta e veloce (solo 3 giorni per rimuovere il contenuto illecito) dei contenuti protetti da ogni piattaforma Internet (dai blog privati a Wikipedia). Il tutto scavalcando l’autorità giudiziaria. Un ruolo gravoso va attribuito agli Internet provider. I quali dovranno eseguire gli ordini dell’Agcom vietando l’accesso ai contenuti protetti.
A riguardo si è espresso sulle pagine del Fatto Quotidiano Nicola D’Angelo, ex commissario Agcom. D’Angelo afferma che bisogna partire da alcune premesse. “Internet è ormai uno strumento fondamentale per l’esercizio dei diritti costituzionali. Come quello all’informazione e alla partecipazione ai processi democratici. Inoltre in Italia, dove i media sono devastati dal conflitto di interesse, è l’unico mezzo pluralistico”, ha spiegato D’Angelo. Tuttavia per l’ex commissario dell’Agcom libertà e pluralismo non devono intaccare il diritto d’autore della rete. “Nessuno può sostenere che in Internet non siano riconosciute delle giuste remunerazioni per le opere”, ha precisato D’Angelo.
Quindi bisogna trovare un equilibrio virtuoso tra la libertà della rete e il riconoscimento del diritto d’autore. Viene da sé che è un problema delicato e difficilmente risolvibile. Infatti, gli stati si comportano in maniera diversa. Anche quelli dell’Unione europea, come abbiamo visto in precedenza, non hanno ancora una visione unitaria.
Per quanto riguarda l’Italia c’è ancora un altro problema da risolvere: Agcom può varare un regolamento che incide fortemente sui diritti fondamentali di libertà? In teoria non potrebbe in quanto, essendo una autorità amministrativa, dovrebbe avere compiti di controllo. Spetterebbe al Parlamento creare una legge “ad hoc”. Ma per D’Angelo ci sarebbe un decreto legislativo del 2010, il n.44 (detto decreto Romani) che rischia di confondere le competenze. Il provvedimento in questione estende la legge del diritto d’autore del 1941 al web. Accomunando la rete alla tv. E viene dato all’Agcom il relativo potere regolamentare. Ma l’Autorità presieduta da Angelo Cardani non potrebbe agire in senso restrittivo sui diritti fondamentali dei cittadini. Bensì dovrebbe solo vigilare. “Urge un intervento legislativo. La legge sul diritto d’autore è vecchia di 60 anni. Oggi c’è Internet. E con esso diritti di conoscenza mai prima d’ora immaginati”, spiega D’Angelo.

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