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Diritto d’autore. Cyberbunker manda al tappeto milioni di server

La recrudescenza delle azioni offensive nei confronti della rete sembra non conoscere sosta.
Questa volta però, in relazione al feroce assalto sferrato ai danni di numerosi siti web, si parla di “uno dei più grandi attacchi alla rete internet” mai visti da quando esiste il web, per riprendere le stesse parole utilizzate dal quotidiano “New York Times”. Ma vediamo cosa è accaduto. Responsabile degli atti di violazione informatica sarebbe il server olandese Cyberbunker, con sede ad Amsterdam e designato a fornire ospitalità ai siti recanti ogni genere di contenuto, ad eccezione di quelli pedopornografici o terroristici.  Tuttavia sembra che alcuni di questi contenuti non fossero poi così “limpidi”, ragion per cui l’organizzazione anti-spam no profit Spamahouse ha ritenuto opportuno segnalare, tra i portali sospetti, alcuni tra i server amministrati dalla società di hosting orange. E da qui sono nati i primi dissidi tra le due società informatiche tradotti, inizialmente, in un semplice botta e risposta verbale (il portavoce di Cyberbunker, Sven Olaf Kamphuis ha accusato Spamhaus di abuso di posizione, assumendosi arbitrariamente il compito di decidere “cosa può o non può stare sul web”) e poi in una vera e propria rappresaglia selvaggia in rete. I primi attacchi sono iniziati il 19 marzo scorso, e sono stati indirizzati all’ong di Steve Linford, sotto forma di blitz DDoS, con flussi di dati di 300 miliardi di bit al secondo.  Successivamente il piano di azione dei cyber incursori si è ampliato fino a raggiungere gran parte dei server DNS, ovvero il Domain Name System (il sistema che codifica i nomi dei siti in stringhe di numeri che la tecnologia alla base di internet è in grado di intendere), che si è ritrovato, da un giorno all’altro, letteralmente sommerso di messaggi spam. Il tutto con il chiaro obiettivo di mettere in ginocchio quanti più siti possibile rendendoli non più operativi.  Il rischio, già in atto, è quello di un disastroso “Effetto Domino”, come dimostrato da quanto accaduto ad una società della Silicon Valley che, nel tentativo di correre in aiuto di Spamhouse, segnalando da subito l’ondata di raid, si è ritrovata, a sua volta, nella lunga lista delle vittime del ciclone partito dal Paese dei mulini a vento e che ha spazzato via, in un sol “soffio”, decine e decine di sistemi informatici in mezzo mondo.

Giannandrea Contieri

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