“Quando una legge dello Stato impone un termine di attuazione e un ministro della Repubblica lo disattende per moltissimi mesi, nonostante il procedimento sia concluso e il provvedimento (sulla copia privata) fosse pronto da alcuni giorni, e lui stesso avesse pubblicamente dato la sua parola di voler assumersi la responsabilita’ cosa si deve pensare? Io vengo da un pianeta dove la parole date si mantengono”. Ad affermarlo e’ Gino Paoli, presidente della Siae, che si dice “indignato” per la mancata firma sulla copia privata. “Ci voleva il coraggio di levarsi in piedi a difendere la cultura italiana e quindi l’unico baluardo vivo che ancora la difende: la Siae – sottolinea Paoli -. Tra la tutela dei diritti degli autori e quella degli interessi economici delle multinazionali, nella vicenda dell’equo compenso per copia privata e del suo adeguamento previsto per legge, la scelta era un atto dovuto. La scelta invece e’ stata senza coraggio: rinvio, rinvio, rinvio. Non posso piu’ firmare il governo e’ dimissionario, me ne lavo le mani. Quella di non firmare il decreto e’ chiaramente una scelta politica, ma si abbia almeno il coraggio di dirlo. Che tristezza!”. “Forse – conclude il presidente – come ci chiedono molti dei nostri associati, anche la Siae (con gli organi sociali e l’assemblea) dovra’ cominciare a riflettere se trasferire a Londra la sua sede legale e a Dublino quella fiscale”.