Diritto all’oblio, Google si oppone alla Francia

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Si ritorna a parlare di diritto all’oblio. Il diritto ad essere dimenticati online è la possibilità di cancellare, anche a distanza di anni, dagli archivi online, il materiale che può risultare sconveniente e dannoso per soggetti che sono stati protagonisti in passato di fatti di cronaca. Fondamentale in materia è la sentenza della Corte di Giustizia risalente al 13 maggio 2014, che  ha imposto a Google di rispondere alle richieste di rimozione dei link alle pagine web che contengono il nominativo del richiedente dai risultati sul motore di ricerca. In virtù del diritto all’oblio, i motori di ricerca devono rimuovere ogni contenuto a seguito di ogni richiesta dell’individuo; possono mostrare solo certi risultati che sono di pubblico interesse. Dal maggio 2014 sono stati rimossi in Europa circa 550.000 link.  E’ chiaro che si viene a creare un conflitto tra il diritto alla privacy dei soggetti coinvolti e il diritto generale all’informazione. E Google non sembra avere l’autorità per poter valutare la sussistenza dell’interesse pubblico nell’ambito di una procedura di cancellazione di un determinato link. Ma la sentenza dice proprio questo.

Una materia di per sé controversa, che  nel 2015  è stata rivisitata dal Cnil, autorità amministrativa francese. In una recente sentenza l’organo transalpino ha imposto a Big G di applicare il diritto all’oblio anche al di fuori dell’Unione Europea. Questo significa che, in virtù di tale provvedimento, un utente non potrà visualizzare un contenuto eliminato nemmeno nei domini di Google non afferenti  all’Unione Europea, compreso google.com.  Google ha provveduto alla deindicizzazione di circa un milione di pagine web  all’interno dell’UE, ma ha più volte manifestato il suo dissenso, anche attraverso i fatti. E’ stata proprio la decisione di  rimuovere i risultati dai suoi domini solo nel paese in cui viene effettuata la richiesta a irritare il Cnil, che nel mese di marzo ha deciso di  infliggere una simbolica multa di 100.000 euro al colosso di Mountain View.

E ora Google si rivolge al Consiglio di Stato, sperando in una pronuncia opposta a quella del Cnil.  E’ di poche ore fa la dichiarazione di Kent Walker, vice presidente di Big G, che ha sottolineato come non esistano provvedimenti simili al di fuori del vecchio continente. “Se l’approccio del Cnil fosse accolto come standard per la regolamentazione di internet”, afferma Walker,  “ci troveremmo in un meccanismo di corsa al ribasso: il paese più restrittivo detterebbe la misura della libertà di internet per tutti. Riteniamo che nessun singolo Paese dovrebbe avere l’autorità di controllare a quali contenuti è possibile accedere in un altro Paese”. Per Google, la cui posizione appare ragionevole,  vi è quindi un’impossibilità di applicare la stessa normativa a tutti i paesi, in considerazione del diverso gradiente di democraticità caratterizzante i vari Stati.

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