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Diritto all’oblio. La sentenza contro Google potrebbe rivelarsi un boomerang per la rete

Con una decisione destinata a costituire una vera e propria pietra miliare, i giudici della Corte di Giustizia europea si sono espressi sul tema  ponendo alcuni obblighi in capo ai gestori dei motori di ricerca. Questi dovranno attivarsi per rispondere alle richieste di coloro che non desiderano che informazioni sulla propria persona siano reperibili attraverso una query sul motore di ricercaNel testo della sentenza si legge infatti: “(…) il gestore di un motore di ricerca è obbligato a sopprimere, dall’elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, i link verso pagine web pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative a questa persona, anche nel caso in cui tale nome o tali informazioni non vengano previamente o simultaneamente cancellati dalle pagine web di cui trattasi, e ciò eventualmente anche quando la loro pubblicazione su tali pagine web sia di per sé lecita“. La decisione dei giudici lussemburghesi apre quindi, di fatto, al diritto all’oblio andando ad imporre degli obblighi non tanto su coloro che hanno pubblicato un contenuto riguardo ad un certo individuo ma sugli strumenti che consentono di individuarlo (motori di ricerca).
La sentenza è abbastanza generica e ne consegue che moltissime cose possano rientrare sotto la estesa definizione del “non più rilevante”: link verso fotografie della propria adolescenza, commenti ingiuriosi sui social network, allusioni maliziose, provvedimenti giudiziari ormai scontati, documenti aziendali sulle assunzioni e così via. A valutarlo, stando alla sentenza, è l’utente stesso che può chiedere la “deindicizzazione” di quei contenuti, e se il motore di ricerca non acconsente può rivolgersi a una corte nazionale chiedendone il giudizio a partire dalla sentenza europea di oggi. David Meyer di GigaOm osserva inoltre che la sentenza della Corte dimostra di essere poco lungimirante, perché fotografa la situazione per come è adesso, in cui fare una ricerca online equivale sostanzialmente a usare un solo motore di ricerca, Google, che detiene circa il 90 per cento del mercato europeo. Impedire a Google di linkare un determinato contenuto “non più rilevante” può avere senso, perché è sufficiente per rendere praticamente introvabile quel contenuto, ma in un mercato più aperto che cosa accadrebbe?
Anche Guido Scorza, sulle pagine de “il fatto quotidiano” sostiene che probabilmente a breve sarà facile prevedere che centinaia di migliaia di cittadini europei – noti e meno noti alle cronache – scriveranno ai grandi motori di ricerca [ndr non è peraltro chiaro a quale indirizzo] per chiedere di cessare l’indicizzazione di qualsiasi informazione li riguardi e li ritragga in termini negativi o, semplicemente, non graditi.

Resta il fatto che nelle prossime settimane Google e gli altri motori di ricerca dovranno trovare modi e vie legali per affrontare richieste analoghe a quelle che hanno portato alla sentenza della Corte di Giustizia Europea. Si dovranno inoltre confrontare con le decisioni dei singoli tribunali nazionali, che si muoveranno sulle basi della sentenza e senza un quadro legislativo ancora completo e coerente nell’Unione Europea. Nonostante l’entusiasmo di alcuni esponenti europei, che da tempo sostengono la necessità di normare il cosiddetto “diritto all’oblio”, tra i principali osservatori ed esperti di diritto della comunicazione c’è una cospicua preoccupazione per le conseguenze che potrà avere la sentenza sulla rimozione dei link e le complicazioni della sua attuazione.
Internet è arrivato ad un bivio. Forse nulla sarà come prima…

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