C’è per esempio il caso di Cecilia C.. “Tanti anni fa ho rilasciato un’intervista a una mia amica giornalista su un controverso caso clinico che mi aveva vista protagonista”. Articolo però che poi è stato “pieno di imprecisioni con tutti i miei dati sensibili sopra e ovviamente ne è nato un polverone mai visto”. “Pazienza: era una mia amica, si trattava di una testata locale, e ho lasciato perdere”. Il problema è nato quando quel giornale ha deciso di mettere in rete tutti i suoi archivi. “La mia storia, con tutte le informazioni di cui sopra (che tra l’altro non riguardano solo me, ma anche dei minori della mia famiglia), è finita “consultabile” da chiunque abbia voglia di prendersi la briga di “googlare” il mio nome. Ho provato a rivolgermi alla testata in questione, ho interpellato il Garante della Privacy, ho pregato e minacciato: niente. Ora, dopo questa decisione della Corte, spero di riuscire finalmente ad ottenere giustizia”.
Oggi stesso è partita inoltre la richiesta a Google- tramite un avvocato- di un dirigente ministeriale che si ritrovavo accusato su un giornale online di aver sottratto fondi pubblici in un ospedale. All’epoca dell’articolo era un sospetto con qualche fondamento; poi però la persona non ha ricevuto denunce in merito. Ha chiesto una rettifica e ha poi denunciato il giornale per diffamazione. Mentre il processo è ancora in corso, chiede a Google di togliere quell’articolo dai propri indici.
Come si vede, si aprono scenari dalle conseguenze complesse. L’intervento sui motori di ricerca può anche sovrapporsi al lavoro della magistratura, essere una scorciatoia rispetto a processo (che ha tempi ed esiti imprevedibili) e impattare sul diritto di cronaca. Va anche detto che la sentenza della Corte non obbliga Google a ubbidire a queste richieste e anzi specifica che non si dovrebbe interferire con il lavoro giornalistico e con fatti di rilevanza pubblica. Ma mette nelle mani del motore la decisione, il quale potrebbe essere tentato – per evitare contenziosi e multe – a non fare troppa resistenza. Anche perché rischia di essere sommerso da richieste, difficili da valutare sia per quantità sia per complessità. Anche Reuters riporta che Google ha cominciato a riceverne. Il suo amministratore delegato Eric Schmidt ha detto ieri che “ci sono molte domande aperte. Qui c’è un conflitto tra il diritto a essere dimenticato e il diritto di sapere”. Secondo Schmidt, la sentenza ha scelto un compromesso sbagliato tra i due diritti.
“La decisione ha implicazioni significative sul modo in cui gestiamo le richieste di rimozione”, ha detto un portavoce di Google. “E’ complicato, non ultimo per il gran numero di lingue implicate e per la necessità di effettuare accurate revisioni. Non appena avremo pensato attentamente a come potrà funzionare, cosa che potrebbe richiedere diverse settimane, informeremo gli utenti”.
Subito dopo la sentenza, numerosi esperti l’hanno accusata di minacciare equilibri importanti della rete. Vitali per la libertà di espressione e di accesso all’informazione.
Oggi stesso è partita inoltre la richiesta a Google- tramite un avvocato- di un dirigente ministeriale che si ritrovavo accusato su un giornale online di aver sottratto fondi pubblici in un ospedale. All’epoca dell’articolo era un sospetto con qualche fondamento; poi però la persona non ha ricevuto denunce in merito. Ha chiesto una rettifica e ha poi denunciato il giornale per diffamazione. Mentre il processo è ancora in corso, chiede a Google di togliere quell’articolo dai propri indici.
Come si vede, si aprono scenari dalle conseguenze complesse. L’intervento sui motori di ricerca può anche sovrapporsi al lavoro della magistratura, essere una scorciatoia rispetto a processo (che ha tempi ed esiti imprevedibili) e impattare sul diritto di cronaca. Va anche detto che la sentenza della Corte non obbliga Google a ubbidire a queste richieste e anzi specifica che non si dovrebbe interferire con il lavoro giornalistico e con fatti di rilevanza pubblica. Ma mette nelle mani del motore la decisione, il quale potrebbe essere tentato – per evitare contenziosi e multe – a non fare troppa resistenza. Anche perché rischia di essere sommerso da richieste, difficili da valutare sia per quantità sia per complessità. Anche Reuters riporta che Google ha cominciato a riceverne. Il suo amministratore delegato Eric Schmidt ha detto ieri che “ci sono molte domande aperte. Qui c’è un conflitto tra il diritto a essere dimenticato e il diritto di sapere”. Secondo Schmidt, la sentenza ha scelto un compromesso sbagliato tra i due diritti.
“La decisione ha implicazioni significative sul modo in cui gestiamo le richieste di rimozione”, ha detto un portavoce di Google. “E’ complicato, non ultimo per il gran numero di lingue implicate e per la necessità di effettuare accurate revisioni. Non appena avremo pensato attentamente a come potrà funzionare, cosa che potrebbe richiedere diverse settimane, informeremo gli utenti”.
Subito dopo la sentenza, numerosi esperti l’hanno accusata di minacciare equilibri importanti della rete. Vitali per la libertà di espressione e di accesso all’informazione.
Fonte: http://www.repubblica.it/tecnologia/2014/05/15/news/richiesta_cancellazione_google-86240050/