Se non è una rivoluzione, per quanto lungamente annunciata e largamente disattesa, poco ci manca. Il Garante della Privacy ha stabilito che, in tema di diritto all’oblio, si può chiedere solo la deindicizzazione degli articoli e non la rimozione dei contenuti dal web. Per l’authority questa è la migliore scelta per bilanciare, di fronte al diritto all’oblio, la libertà d’informazione.
Secondo il Garante, infatti, gli articoli che rimangono negli archivi digitali dei quotidiani rappresentano documenti assimilabili a quelli storici e dunque devono restare a disposizione di chiunque abbia il compito di svolgere ricerche. E devono rimanere accessibili nella loro integrità per gli abbonati ai servizi.
Tutta la vicenda risale al reclamo che è giunto all’authority da un cittadino che lamentava la presenza, nell’archivio online di un quotidiano nazionale, di un articolo che lo riguardava su vicende risalenti al lontano 1998 e relative a un’inchiesta i cui successivi sviluppi, ossia l’estinzione per prescrizione decratata dalla Corte di Cassazione per l’accusa di appropriazione indebita aggravata, non erano stati riportati. Il ricorrente aveva richiesto la rimozione dei suoi dati personali all’editore che, tuttavia, aveva proceduto alla deindicizzazione dell’articolo in questione che era proposto in estratto al pubblico generalista e integrale solo agli abbonati.
Nel ritenere infondata la richiesta di cancellazione il Garante “ha considerato l’utilità sociale e il valore di documento storico dell’articolo oltre al fatto che questo fosse stato già deindicizzato dall’editore. L’articolo era infatti consultabile liberamente nell’archivio solo in estratto e integralmente solo dagli abbonati”. Ma per l’editore è scattata lo stesso una sanzione salata da 20mila euro “per non aver fornito comunque risposta all’interessato, come previsto dal Regolamento, e ha disposto la pubblicazione integrale del provvedimento sul sito web del Garante”.
Marina Pisacane