Sta suscitando reazioni contrastanti la direttiva sul copyright approvata dalla Commissione Affari Giuridici del Parlamento Europeo. Il testo sarà discusso in plenaria il 4 luglio ed è una riforma della direttiva risalente al 2015. Se ricevesse l’approvazione del Parlamento, la direttiva andrebbe poi al vaglio del Consiglio e successivamente sarebbe da sottoporre ad un nuovo esame in aula. I punti nevralgici del documento, presentati negli articoli 11 e 13, sono due: l’introduzione della cosiddetta link tax e la censura preventiva di contenuti caricati da utenti. In merito a quest’ultimo punto vi è la richiesta ai colossi della rete di vigilare sulle attività delle piattaforme, al fine di impedire qualsiasi violazione del diritto d’autore. Nel testo non vi è uno specifico riferimento al filtraggio di contenuti, ma si parla di “tecnologie efficaci” per rimuovere le criticità. Si è parlato di “stop ai meme”, poiché la nuova norma renderebbe molto complicata la diffusione virale delle famose immagini umoristiche. C’è poi l’art.11, con l’obbligo di richiedere autorizzazioni preventive agli editori per la pubblicazione di contenuti ad essi afferenti, anche brevi. Qui ci si collega alla link tax, che sarebbe un compenso in denaro da corrispondere all’editore per il link inserito. I diritti di copyright si estenderebbero a titolo, sommario e Url. La definizione di link tax è particolarmente azzeccata, dal momento che la nuova tutela si estenderebbe proprio agli elementi che contrassegnano un link. Sarebbe una prescrizione favorevole ai grandi editori, che da anni combattono una battaglia contro i giganti del web. La tutela dei contenuti è sacrosanta, ma va anche considerato l’importante ruolo delle grandi piattaforme nell’indicizzazione degli stessi. Grandi e piccoli editori ricevono vantaggi dall’ampliamento della diffusione degli articoli. Ma se i primi sopravviverebbero alla tassa, i secondi potrebbero avere gravi problemi di sopravvivenza. Altra questione preoccupante è la vaghezza della norma, che non sembra fare distinzioni in merito al suo campo di applicazione (un motore di ricerca è uguale ad un sito qualsiasi?). L’attribuzione della decisione sulla pubblicazione al proprietario della piattaforma è foriera di rischi per la libertà degli utenti.
Il mondo si divide tra sostenitori e oppositori. I primi sono, ovviamente, coloro che avrebbero interesse alla riforma: editori, autori, addetti ai lavori. All’opposizione ci sono i giganti della rete e i difensori della libertà che è sempre stata il marchio di Internet. Il Movimento 5 Stelle si è opposto alla direttiva, che sarebbe lesiva di principi su cui si fonda il web. Infatti la necessarietà di autorizzazioni per la pubblicazione di determinati contenuti danneggerebbe la condivisione, che è da sempre fondamentale nelle dinamiche della rete. Il leader Luigi Di Maio ha parlato di vero e proprio bavaglio per la libertà di opinione, ribadendo che la direttiva non sarà recepita senza modifiche all’attuale testo. Intanto sui social è stata lanciata una campagna a difesa da Internet, da 70 esperti del digitale. Tra essi vi è Tim Berners Lee, l’inventore del world wide web. La mobilitazione si basa su un paventato pericolo di cambiamento radicale della rete, per come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi. L’opposizione, di principio, è in particolare all’art.13, relativo alla censura preventiva di contenuti. In più vi è una criticità di tipo tecnico: nascerebbero problemi in relazione alle difficoltà di applicazione delle tecnologie da adoperare per dare atto al filtraggio.
La risposta politica alle dichiarazioni di Di Maio è arrivata, non a caso, da un italiano. Il presidente del Pe, Antonio Tajani, si è riferito alla direttiva come necessaria opera di difesa di autori ed editori dallo strapotere delle piattaforme online. Condividono la sua posizione tutte le associazioni operanti nei settori interessati. In prima linea c’è la Fnsi: per il suo segretario, Raffaele Lo Russo, la riforma è auspicata e irrinunciabile. La Federazione ritiene che l’introduzione di una link tax sia necessaria per il riequilibrio del mercato e la redistribuzione delle risorse dello stesso. Ciò che Lo Russo definisce inaccettabile è la grande quantità di informazioni veicolate dai giganti del web, con annessi guadagni legati alla pubblicità, che andrebbe a detrimento della qualità dell’informazione. Il riferimento alle fake news è evidente. Sulla stessa lunghezza d’onda anche l’Aie, che ha manifestato stupore per la posizione di Di Maio, il quale rappresenta quello che si è definito un governo del cambiamento. Per Confindustria Cultura opporsi alla direttiva UE significa stare dalla parte delle multinazionali del web. In effetti questi ultimi sono fermamente contrari al ruolo che l’Europa vorrebbe assegnar loro. Google ha manifestato il suo disappunto, invitando gli editori della Digital News Initiative a opporsi alla riforma. Per molti vi è stato un eccessivo interventismo da parte di Big G. Favorevole alla direttiva anche la Fimi (Federazione industriale musicale italiana). Per il suo presidente, Enzo Mazza, la riforma UE porrà fine ad una situazione discriminante per artisti e creativi, danneggiando gli Over the Top.