La contestata e controversa direttiva sul copyright è già storia recente. Sarà ridiscussa dal plenum del Parlamento Europeo a settembre, ragionevolmente priva degli elementi di criticità che hanno provocato la bocciatura del testo presentato la settimana scorsa. Tuttavia alcuni profili della direttiva respinta, ci si riferisce in particolare all’art.11, possono dare adito ad ulteriori spunti di riflessione. Innanzitutto giova ricordare che l’articolo 11 riguardava il rapporto tra gli editori e i colossi del web, e in particolare la massiva condivisione delle notizie da parte di questi ultimi. Per la disposizione in esame gli editori avrebbero avuto diritto ad una consona ed equa remunerazione per aver prodotto contenuti di valore. I diritti di copyright si sarebbero estesi a titolo, sommario e Url. Da qui il nome di link tax, coniato da chi era avverso al provvedimento.
In base al punto di vista degli editori gli indennizzi avrebbero potuto aiutare a mantenere viva l’informazione professionale, che oggi fatica a tenere il passo con il fenomeno delle fake news. Per i critici dell’art.11, invece, la disposizione avrebbe rappresentato un freno alla condivisione e alla diffusione dei contenuti, attività in cui oggi motori di ricerca e social network hanno un ruolo preminente. Di conseguenza avrebbe penalizzato i piccoli editori, che hanno più bisogno di servizi di indicizzazione di Google rispetto alle grandi testate.
Un’analisi obiettiva degli scenari attuali fa propendere la bilancia dalla parte di chi ha spinto per la bocciatura della direttiva. E’ infatti da considerare ciò che è accaduto nella prassi in Spagna, paese in cui nel 2015 entrò in vigore una tassa analoga a quella discussa in sede comunitaria. Ma gli editori fecero un passo indietro in seguito alla decisione di Big G di escluderli dal servizio Google News. E lo stesso è avvenuto in tempi ancora più risalenti in Germania. Il motivo è semplice. La perdita dei servizi offerti da Google avrebbe determinato anche pesanti cali per gli editori nella raccolta pubblicitaria, che deriva dall’incremento della diffusione degli articoli sul web. Da ciò si evince che i c.d. Over The Top abbiano il coltello dalla parte del manico e che la loro influenza non si possa limitare semplicemente con atti normativi restrittivi.