Al sit-in dei giornalisti Dire va in scena il ballo della politica. Solidale, chiaramente, nei confronti dei lavoratori dell’agenzia che rischiano di perdere il posto di lavoro. La manifestazione ha richiamato numerosi addetti ai lavori e tanti esponenti della politica hanno espresso vicinanza. Tra tutti, spicca Giuseppe Conte. Sì, proprio lui. “Al fianco dei giornalisti dell’Agenzia Dire, che si battono contro licenziamenti e sospensioni illegittime. La tutela dei posti di lavoro e il pluralismo dell’informazione vanno garantiti senza esitazioni”, ha twittato l’uomo che, da premier, piazzò Vito Crimi, indimenticabile sottosegretario che si informava sui social, all’Editoria e all’informazione.
Come si cambia, per non morire. Il Movimento Cinque Stelle era quello che voleva chiudere i rubinetti. Quello che ha rischiato di far chiudere, per dirne una, Radio Radicale. Quello che ha impostato su una lettura demagogica dei contributi pubblici all’editoria una campagna elettorale. Quello che ha inoculato, nell’opinione pubblica, l’idea che i giornali solo in Italia accedevano ai fondi pubblici. Una panzana. Quello, il M5s, che voleva fare piazza pulita dei giornali. Con tanti saluti al pluralismo che i contributi per l’editoria tutelano. Quel non-partito, non movimento che ha imposto, appunto, il signor Crimi Vito (oggi scomparso dai radar della visibilità politica) a sottosegretario all’editoria. Un uomo che si produceva in lezioni indimenticabili su dove stessero andando i media: “Quando parlo agli editori e ai direttori delle agenzie di stampa di telegram mi guardano e dicono Telegram? What? Non comprendono come sta cambiando il modo di fruire l’informazione, è un problema”. Già, come hanno svelato alcune inchieste della Guardia di Finanza, su Telegram i giornali ci finivano sì. Ma piratati. Non sarà stato il caso del past sottosegretario all’Editoria ma di sicuro una bella figura non ce la fece all’epoca.
Oggi, però, Giuseppe Conte si stringe attorno ai giornalisti di Dire dopo aver contribuito, chissà quanto consapevolmente, a far perdere il posto a tanti altri giornalisti “colpevoli” di lavorare per testate locali, meno conosciute, meno “pesanti”. Quelle che si possono chiudere e chissenefrega, tanto a chi interessa. Quelle, però, che hanno garantito per anni, in alcuni casi decenni, un’agorà, davvero, ai territori. Hanno incarnato il pluralismo e lo hanno reso carne e sangue di una parte di Paese che oggi, senza giornali, senz’altro che pochi blog, è un Paese di serie B. L’importante è ravvedersi.
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