In Senato è stata presentata una legge volta a scoraggiare il fenomeno delle c.d. querele temerarie. Di che parliamo? La querela è un atto declaratorio previsto dall’ordinamento giuridico con cui si richiede l’avvio dell’azione penale. In molti casi, però, viene utilizzata come minaccia per ritardare l’attività dei giornalisti. Non è un caso che i dati del Ministero della Giustizia evidenzino che negli ultimi tre anni il 90% delle querele per diffamazione siano stati archiviati prima del dibattimento. Le querele temerarie funzionano anche e soprattutto a causa della precarietà che caratterizza il lavoro giornalistico. Molti reporter sono spinti a rinunciare ai propri dossier per il timore di ciò che potrebbero subire in sede di risarcimento danni. Altre volte sono i direttori dei giornali a rinunciare per evitare condanne potenzialmente lesive per i bilanci delle testate.
La legge che vorrebbe cambiare questo status quo è stata presentata da Primo De Nicola, parlamentare del M5S ed ex giornalista di lungo corso (ha lavorato per “L’Espresso” e diretto “Il Centro”). La modifica principale richiesta dal provvedimento legislativo riguarda l’art.96 del Codice di Procedura Civile, avente ad oggetto la responsabilità aggravata della parte che agisce in giudizio con malafede o colpa grave. La norma, che disciplina proprio il fenomeno delle liti temerarie, già prevede che la parte soccombente provveda alle spese processuali e al risarcimento dei danni. La colpa grave è individuata nella mancanza del minimo di consapevolezza necessaria per l’avvio dell’azione processuale. La variazione proposta dal Movimento è inerente alla quantificazione del risarcimento. In base alla legge a firma De Nicola quest’ultimo dovrebbe ammontare alla metà di quanto richiesto dalla parte querelante. Il parlamentare ha spiegato la ratio della sua proposta: non una difesa sterile della categoria, ma un atto necessario per la tutela della libertà di stampa.
I dati raccolti dall’Osservatorio Ossigeno per l’Informazione confermano la veridicità di quest’affermazione: dal 2006 sono 3.722 i giornalisti intimiditi e minacciati con il fenomeno delle querele temerarie. Come detto, il 90% dei procedimenti finisce nel nulla, il 70% addirittura in fase istruttoria. Nonostante ciò c’è comunque da registrare il dato allarmante sulle condanne penali a carico di giornalisti, circa 155 all’anno. La diffamazione a mezzo stampa è un reato punibile fino a tre anni di reclusione, in base alle disposizioni dell’articolo 595 codice penale. Una battaglia di lungo corso combattuta dalla Fnsi e dall’Ordine dei Giornalisti riguarda proprio la depenalizzazione dell’illecito, che quindi dovrebbe essere punito solo in sede civile. E’ una richiesta ragionevole alla luce di quanto avviene nei principali paesi europei. Francia e Regno Unito sanzionano la diffamazione esclusivamente a livello pecuniario. Germania e Spagna prevedono la reclusione, ma nella prassi non ci sono quasi mai condanne.
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