Una risoluzione per dire “no” all’arresto di giornalisti per il reato di diffamazione a mezzo stampa. L’ha presentata il consigliere regionale Giuseppe Pagani (Pd), poi firmata anche dal capogruppo Marco Monari, dopo l’arresto il 5 ottobre del giornalista Francesco Gangemi, ora agli arresti domiciliari da tre giorni. Gangemi, direttore del mensile Dibattito News, 79 anni, in precario stato di salute, deve scontare due anni anche per falsa testimonianza, per non aver voluto rivelare le fonti in un “affaire” del verde pubblico denunciato dal giornalista negli anni Novanta, portando allora all’arresto dell’intera Giunta comunale di Reggio Calabria.
”Nel 2004 – sottolinea Pagani – venne incarcerato per tre settimane e trascorse più di un anno agli arresti domiciliari per accuse dalle quali fu assolto nel 2009 con formula piena. Tra il 2007 e il 2012 è andato incontro a ben otto condanne da parte dei tribunali di Reggio Calabria, Cosenza e Catania di cui sette per diffamazione e una per falsa testimonianza”.
Il consigliere Pagani ha presentato la risoluzione per chiedere l’impegno della Regione Emilia-Romagna ad agire in tutte le sedi opportune perché la legislazione in materia di diffamazione venga riformata con urgenza, adeguando l’ordinamento italiano all’articolo 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, recentemente confermato dalle sentenze della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo. L’ordinamento italiano prevede il reato di diffamazione a mezzo stampa contemplando fino a tre anni di carcere (art.595 Codice Penale).
”L’esistenza stessa di una sanzione penale – spiega Pagani – in questo caso è tale da provocare un effetto dissuasivo sul contributo che la stampa porta al dibattito su temi di interesse generale che non può essere ammesso che in casi particolarmente gravi”. Giace alla Camera, conclude Pagani: “la proposta per l’abolizione della sanzione penale del carcere per i giornalisti condannati per diffamazione a mezzo stampa, sollecitata anche dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce). L’Italia è infatti uno dei pochi Paesi che ancora la prevede”.
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