Domanda: che cosa accadrebbe se editori e case editrici chiedessero ad autori e giornalisti di pagare per le cause legali perdute? Non è una questione da poco, ma è quello che modestamente sta succedendo a me: e che, presto, potrebbe succedere ad altri. Partiamo dal mio caso. Sono un autore Mondadori (da 16 anni), ma Mondadori nei giorni scorsi mi ha chiesto di pagare circa 60mila euro per via di una causa perduta e legata a un mio libro del 2009. La sentenza prevede anche un pagamento di 5000 euro (le spese legali) più la pubblicazione della sentenza sul «Giornale» e sul «Corriere della Sera». Devo – dovrei – pagare tutto io. Un altro aspetto notevole è che si tratta di una sentenza di primo grado: dopo non avermi mai chiesto collaborazione per difendersi – anzi, difendermi – non so neanche se Mondadori voglia proporre appello: l’unico contatto che Mondadori ha cercato con me – autore Mondadori, o ciò credevo – è stata un’email per chiedermi dei soldi: «Lei si è impegnato», mi hanno scritto, «a manlevare e tenere indenne l’editore da qualsiasi conseguenza dannosa anche di natura risarcitoria». Nelle clausole contrattuali di qualsiasi autore c’è scritto questo e altro.
Va detto che si trattava del mio terzo libro per Mondadori (cui nel frattempo ne è seguito un quarto) e che già in precedenza c’erano state delle grane legali, come spesso succede a chi non scrive libri di cucina: alcune cause erano finite bene e altre erano finite meno bene. Mai Mondadori, però, si era sognata di esercitare questa opzione che tutti i contratti – ripeto, tutti i contratti ad autori e giornalisti – in linea teorica permettono di utilizzare. È una cosa che, semplicemente, si tende a non fare: gli editori in genere si fanno carico dei rischi, e nel caso di un libro, in particolare, i tempi di pubblicazione permettono di soppesare e ricontrollare un testo anche per intere settimane prima che si vada in stampa. Ricordo le infinite discussioni con l’ufficio legale Mondadori, e certo non le ricordo solo io. Spesso i direttori di giornale vengono condannati per «omesso controllo» perché non riescono a leggersi l’intero quotidiano prima che partano le rotative: ma per una casa editrice è diverso, c’è tutto il tempo, e nel caso di Mondadori c’è un nutrito studio legale che se ne occupa. Come si dice: visto, si stampi. Ora però arriva questa mazzata: ed è paradossale. Mondadori, cioè, chiede soldi a un suo autore per un libro che ha acconsentito a pubblicargli, oltretutto non privo, il libro, delle modifiche e degli aggiustamenti che la stessa Mondadori riteneva dovessero evitarle guai giudiziari. Però un giudice ha condannato lo stesso: chi ne risponde? Non la casa editrice coi suoi legali, che pure dovrebbero capirne e che a processo hanno difeso le proprie ragioni: ne risponde solo l’autore, lasciato solo. Ora: sarebbe interessante annunciare che si tratta di una nuova policy aziendale di Mondadori – prima casa editrice italiana – e che perciò riguarderà tutti i suoi numerosi e importanti autori. Sarebbe una notizia. Ma non è neppure così.
È peggio. Da quanto assicurano fonti interne, e da quanto è pure evidente, il criterio è meramente discrezionale: Mondadori non è certo intenzionata a chiedere soldi ad altri remunerativi e più noti autori che abbiano perso delle querele, come pure è accaduto; i soldi, a Segrate, li chiedono soltanto ai calibri medio-piccoli, insomma a quelli che a fronte di cause giudiziarie non garantiscano più un sufficiente ritorno economico. E io – parentesi – ho cercato di scriverla in maniera diplomatica, e ho cercato, soprattutto, di evitare ogni dietrologia che possa scaturire da qualsiasi criterio che colpisca un autore anziché un altro: ma la tentazione sarebbe forte. Ora che succederà? Non credo che sia interessante solo per me, perché nell’editoria l’aria che tira è fatta anche di questo. Sono un autore Mondadori da 16 anni, ma, a fronte di un contenzioso, probabilmente non lo sarò più. E perché? La sintesi è incontestabile: non ho venduto abbastanza copie.
(Filippo Facci)
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