Pubblichiamo sul nostro sito una sentenza della Cassazione Civile risalente al 11/09/2014. Tema del provvedimento è il rapporto tra reato di diffamazione e diritto alla critica. Nella fattispecie una scrittrice ricorre alla Cassazione contro una rivista autrice di una recensione che, a detta dell’autrice, sconfinerebbe i limiti dettati dall’esercizio del diritto alla critica. Il primo motivo lamenta l’insufficienza della motivazione (“… è ferma convinzione di chi qui scrive che non possano bastare “due frasette” a far luce su uno dei nodi giuridici più importanti e delicati”) sulla rispondenza obiettiva dell’articolo ai requisiti di interesse pubblico e continenza che costituiscono i presupposti per l’applicabilità della scriminante del diritto di critica con conseguente bilanciamento dei contrapposti interessi. Il secondo motivo, nel lamentare la violazione di legge, chiede di sapere se costituisce fatto illecito aquiliano redigere e pubblicare un articolo di critica libraria il cui contenuto sia ispirato non ad una motivata ed obiettiva analisi del testo, bensì a sottolineare, senza argomentazione e con espressioni aspre e pungenti, la comicità involontaria che ne connoterebbe sia il testo, sia le foto dell’autrice contenute nel volume pubblicato. La Suprema Corte giudica entrambi i motivi infondati. In tema di diritto alla satira la Cassazione ha raggiunto un consolidato approdo interpretativo, stabilendo che, nella formulazione del giudizio critico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, purchè siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o dal comportamento preso di mira e non si risolvano in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato; mentre non può essere riconosciuta la scriminante di cui all’art. 51 cod. pen., nei casi di attribuzione di condotte illecite o moralmente disonorevoli, di accostamenti volgari o ripugnanti, di deformazione dell’immagine in modo da suscitare disprezzo della persona e ludibrio della sua immagine pubblica. Si comprende, dunque, come l’innegabile esistenza di un ampio interesse pubblico alla serenità e all’indipendenza nella manifestazione del pensiero critico, specialmente in campo artistico, consenta ed anzi imponga di spostare in avanti i confini oggettivi della tutela della reputazione e dell’onore dei protagonisti del settore e come tale spostamento valga a riassorbire e giustificare anche espressioni come quelle utilizzate nella fattispecie, che tra l’altro non appaiono certo di per sè volgari o gratuitamente offensive”. In conclusione, la sentenza impugnata non risulta censurabile in sede di legittimità nè sotto il profilo della violazione di legge, nè sotto quello del vizio della motivazione. Link alla sentenza:
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