I giornalisti, se commettono diffamazione, non devono essere condannati al carcere, se non in presenza di “circostanze eccezionali”, altrimenti non viene loro assicurato il ruolo di “cane da guardia”. Lo sottolinea la Cassazione ricordando che questo orientamento è espresso dalla Corte dei Diritti Umani. La Suprema Corte ha sottolineato anche che i giudici dei Diritti Umani, in base alla Convenzione sulla libertà di espressione, esigono “la ricorrenza di circostanze eccezionali per l’irrogazione, in caso di diffamazione”, della condanna al carcere “sia pure condizionalmente sospesa”.
Con questo verdetto – sentenza 12203 della V Sezione penale – la Cassazione ha dunque annullato, con rinvio alla Corte di Appello di Brescia (solo per il trattamento sanzionatorio) la condanna al carcere (la cui entità non è specificata) nei confronti di un giornalista e del direttore del quotidiano “La Voce Di Romagna” per un articolo che riportava informazioni imprecise di cronaca giudiziaria su un furto in una caserma.
I giornalisti in quanto categoria – ha proseguito la Cassazione – sono “attualmente oggetto di gravi ed ingiustificati attacchi da parte anche di movimenti politici proprio al fine di limitare la loro insostituibile funzione informativa”. La Suprema Corte, inoltre, esortando a non infliggere il carcere nel caso di condanne per diffamazione ma solo multe ha pure ricordato che “de iure condendo” anche il legislatore ordinario italiano è orientato al ridimensionamento del profilo punitivo del reato di diffamazione a mezzo stampa”.