E’ quanto sancito da una sentenza della Corte dei Cassazione dello scorso 2 luglio (la numero 28502). Secondo i giudici «è la dichiarazione rilasciata dal personaggio intervistato che crea di per sé la notizia, indipendentemente dalla veridicità di quanto affermato e dalla continenza formale delle parole usate».
In passato la Cassazione si era già espressa su casi simili condannando talvolta il reporter o ‘salvandolo’ nel caso in cui fosse chiara l’estraneità del suo pensiero a quello dell’intervistato. Invece in questo caso la discriminante per il giornalista vale sempre a patto che si riporti il pensiero in una personalità impegnata in qualche modo nella vita pubblica.
Ovvero «quando un personaggio», scrivono i giudici, «che occupa una posizione di alto rilievo nell’ambito della vita politica, sociale, economica, scientifica, culturale, rilasci dichiarazioni, pure in sè diffamatorie, nei confronti di altro personaggio, la cui posizione sia altrettanto rilevante negli ambiti sopra indicati. In tal caso è la dichiarazione rilasciata dal personaggio intervistato che crea di per sé la notizia, indipendentemente dalla veridicità di quanto affermato e dalla continenza formale delle parole usate. Notizia che, se anche lesiva della reputazione altrui, merita di essere pubblicata perché soddisfa quell’interesse della collettività all’informazione che deve ritenersi indirettamente protetto dall’art. 21 della Costituzione».
«Ciò perché», chiariscono i giudici, «la notizia è costituita dal fatto in sé della dichiarazione del personaggio altamente qualificato, risultando l’interesse del pubblico ad apprenderla del tutto indipendente dalla corrispondenza al vero del suo contenuto e dalla continenza del linguaggio adottato, pretendere che il giornalista intervistatore controlli la verità storica del contenuto dell’intervista potrebbe comportare una grave limitazione alla libertà di stampa».
Secondo la Cassazione pretendere che il pubblicista si astenga dal pubblicare l’intervista «perché contenente espressioni offensive ai danni di altro personaggio noto, significherebbe comprimere il diritto-dovere di informare l’opinione pubblica su tale evento, non potendo, tra l’altro attribuirsi al giornalista il compito di purgare il contenuto dell’intervista dalle espressioni offensive, sia perché gli verrebbe attribuito un potere di censura che non gli compete, sia perché la notizia, costituita appunto dal giudizio non lusinghiero, espresso con parole forti da un personaggio noto all’indirizzo di altro personaggio noto, verrebbe ad essere svuotata del suo reale significato».
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