Giornalista pubblicista, 79 anni, arrestato sabato scorso a Reggio Calabria per falsa testimonianza e diffamazione a mezzo stampa. E’ lquesta a storia di Francesco Gangemi, direttore del mensile “Dibattito News”.
Il figlio, Maurizio, scrive oggi sul sito del “Reggino” che il padre è stato condannato “perché non ha rivelato, dinnanzi al Giudice, le proprie fonti”.
“Gli ultraquarantenni come me – aggiunge Maurizio Gangemi – ricorderanno certamente il cosiddetto ‘scandalo delle fioriere’ o ‘tangentopoli reggina’ che investì la Città della Fata Morgana nel 1992. In quell’epoca, l’intera Giunta Licandro venne arrestata (tranne il Licandro che si pentì e collaborò finendo anche tra la letteratura con il libro a 4 mani ‘La città dolente’) per aver preso tangenti da una ditta per la fornitura di fioriere del valore di 90 milioni di vecchie lire”. Ebbene, prosegue: “mio padre, all’epoca consigliere comunale, se non ricordo male ancor prima che scattassero le manette alla Giunta, in aula a Palazzo San Giorgio, si alzò dallo scranno ed affermò che in qualche stanza le valigette entrano piene (di soldi) e ne uscivano vuote. Al processo che ne seguì, interrogato dal Giudice, si rifiutò categoricamente di rivelare chi ed in che circostanza gli diede la notizia. Reato gravissimo, quello commesso da mio padre”.
Il figlio di Gangemi però aggiunge: “Le sentenze si rispettano! Si discutono e si commentano, certo, ma si rispettano. Chiunque ne sia il soggetto destinatario, anche mio padre! Detto questo, con la convinzione di chi ha avuto in eredità dal padre proprio rettitudine, onestà e, soprattutto, dignità, a me non resta che discuterne un po’”.
Dura, e non poteva essere diversamente, la reazione della Fnsi che, in una dichiarazione congiunta del segretario generale Franco Siddi e del vicesegretario nazionale Carlo Parisi, scrive a chiare lettere: “È allucinante che a 79 anni, un giornalista, condannato per diffamazione e per non avere rivelato le fonti fiduciarie di notizie, venga arrestato e portato in carcere”. “Quanto accaduto al giornalista pubblicista Francesco Gangemi – affermano Siddi e Parisi in coro – appare una mostruosità difficilmente concepibile per qualsiasi ordinamento democratico che si fondi sulla libertà di espressione, di stampa e sul pluralismo delle idee. Anche le idee più ‘forti’ hanno diritto di esistere. Francesco Gangemi è chiamato a scontare due anni di pena residua dopo che la Procura della Repubblica di Catania ha dichiarato decaduti i benefici di sospensione condizionale della pena, in diverse circostanze, per i suoi articoli pubblicati sul periodico ‘Il Dibattito’. Sorprende che la magistratura, pur in presenza di una legislazione che prevede il carcere per i reati di diffamazione a mezzo stampa, e che perciò è stata giudicata incompatibile dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, non abbia individuato misure alternative alla detenzione al pari di quelle che vengono riconosciute in quasi tutte le parti d’Italia a fior di delinquenti ultrasettantenni per crimini efferati di ben altra natura”.
“Ci appelliamo al Parlamento perché voglia, con urgenza – concludono Siddi e Parisi – riformare la legge sulla diffamazione come si è impegnata a fare di recente la Camera, per evitare il ripetersi di questi dolorosi sconci. Alle cariche istituzionali dello Stato chiediamo, infine, una considerazione appropriata e umana del caso che faccia uscire al più presto il giornalista Gangemi dalle patrie galere”.
“Ci auguriamo che tutti i i tg vogliano dedicare grande attenzione allo sconcertante arresto del giornalista Francesco Gangemi, 79 anni, deciso in seguito ad una condanna per diffamazione e per essersi rifiutato di rivelare le sue fonti” afferma, dal canto suo, il portavoce dell’Associazione Articolo 21, Beppe Giulietti.
“Guai se passasse il singolare principio che l’indignazione politica e mediatica si esercita a seconda del grado di notorietà del cronista coinvolto o, peggio, come in questo caso, arrestato. Per molteplici ragioni sarà ora il caso di sollecitare la liberazione di Gangemi e l’immediata approvazione della norma che, recependo le indicazioni dell’Europa, elimini dai codici il carcere -conclude Giulietti – e rafforzi ed estenda il diritto del cronista a non rivelare le sue fonti”.
“La Camera dei Deputati tiri fuori, dalla secca in cui si è arenato, il disegno di legge di riforma della diffamazione che prevede proprio la cancellazione della pena detentiva che per questo reato è universalmente considerata eccessiva. Anche il Governo si faccia carico di questa esigenza, perché a causa di questa legislazione arcaica in Italia la libertà di stampa è parziale” rincara la dose il direttore di Ossigeno per l’Informazione, Alberto Spampinato.
“Ad agosto – ribadisce – c’è stata la discussione generale in aula. Da allora la riforma non ha fatto passi avanti. La Camera deve trovare il tempo per discutere e approvare questo breve disegno di legge che, oltre a togliere il carcere, offre l’occasione per impedire l’uso intimidatorio della querela per diffamazione, divenuto troppo frequente e limitativo del diritto di cronaca. I problemi del mondo dell’informazione non sono meno importanti di quelli dell’economia e del lavoro. I solenni impegni presi un anno fa, di fronte all’indignazione generale per la detenzione di Alessandro Sallusti, ma non sono stati mantenuti. Non dimentichiamo che lo scorso dicembre, per sopperire alle inadempienze legislative, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ritenne opportuno commutare la pena in una sanzione pecuniaria e rivolse un severo richiamo al Parlamento, ricordando le numerose raccomandazioni del Consiglio d’Europa e dell’OSCE e le condanne della Corte Europea di Giustizia sempre cadute nel vuoto. Da allora sono arrivati altri richiami e altre condanne, l’ultima poche settimane fa. Non c’è più tempo da perdere”.
“A causa di queste e altre norme che limitano il pluralismo e la libertà di informazione – conclude Spampinato – da dieci anni l’Italia è la pecora nera fra i Fondatori dell’Europa unita”.
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