Diffamazione, condannati Belpietro e Nuzzi ma dov’è finito il ddl?

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Il direttore di Libero Maurizio Belpietro ed il conduttore televisivo Gianluigi Nuzzi vengono riconosciuti colpevoli, insieme al presidente di Esselunga Bernardo Caprotti, di diffamazione e calunnie contro la Coop Lombardia. 10 mesi di carcere per entrambi (6 mesi per Caprotti), viene respinta l’accusa di ricettazione. Ma qual’è il quadro di riferimento sulla diffamazione in Italia?

Il direttore di Libero Maurizio Belpietro e l’ex inviato del giornale, Gianluigi Nuzzi (ora conduttore di Quarto Grado), sono stati condannati a dieci mesi per calunnia. Insieme a loro, il presidente di Esselunga Berrnardo Caprotti è stato condannato a sei mesi di carcere per diffamazione. Finisce così la querelle giudiziaria tra Esselunga e Coop.

Caprotti viene ritenuto colpevole di avere “finanziato” l’inchiesta che nel 2010 portò Libero a pubblicare alcuni report di due titolari di un’azienda di sicurezza privata, secondo cui Coop Lombardia spiava i propri dipendenti. Secondo la Procura, Caprotti si sarebbe sdebitato assumendo in Esselunga i due investigatori.

Belpietro e Nuzzi, sempre secondo l’accusa, avrebbero incolpato Daniele Ferré, direttore degli affari generali di Coop Lombardia, pur sapendolo innocente riguardo alla possibilità di aver violato la legge per aver spiato i dipendenti attraverso telecamere nascoste e intercettazioni audio e ambientali”.

Le indagini hanno dimostrato che l’infondatezza delle voci di spionaggio, per questo motivo la Procura ha accusato Caprotti e i due giornalisti non solo di diffamazione e calunnia, ma anche della ricettazione del materiale proveniente dai due investigatori. Si sarebbe trattato di un precedente pericoloso per la categoria della stampa, ma questa seconda accusa è stata fatta cadere dal giudice Chiara Valori. Le condanne di Nuzzi e di Caprotti prevedono la concessione di una condizionale mentre la pena inflitta a Belpietro è stata convertita in libertà controllata, che potrebbe impedirgli di lasciare il comune di residenza in caso di condanna definitiva.

Ora gli imputati dovrebbero versare un risarcimento, ancora da quantificare, alla parte civile, cioè i due manager citati nelle inchieste di Libero, Maurizio Salvatori e Daniele Ferrè. L’entità della somma verrà decisa in un altro processo di natura civile, a meno che la sentenza non venga ribaltata in appello. “Accogliamo con favore la sentenza del giudice che ha respinto l’accusa di ricettazione nei confronti di Bernardo Caprotti. L’ipotesi residuale di diffamazione era costruita sulla ricettazione: pertanto confidiamo che anche questa accusa cadrà in sede di appello”, spiega il legale di Caprotti. E in effetti, in processi di questo tipo, non sarebbe la prima volta di una sentenza capovolta in un grado di appello.

In ogni caso, queste condanne rappresentano, come scrive sul suo sito internet Il Giornale, una sentenza quasi inedita, che da un lato colpisce pesantemente gli autori di un’inchiesta giornalistica, e dall’altro macchia ad oltre novant’anni la fedina penale dell’imprenditore Bernardo Caprotti, sempre saldo al comando di Esselunga. Proprio Caprotti ha intrapreso da tempo una crociata contro la Coop, accusando il colosso della distribuzione di occupare spazi sul territorio solo grazie a protezioni politiche.

La vicenda potrebbe essere inserita nel contesto più ampio della discussione sulla diffamazione a mezzo stampa in Italia. Una questione importante, di cui si è parlato molto per poco tempo e di cui ora si è persa quasi ogni traccia. Proprio su questo tema, recentemente il presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Giuseppe Giulietti, e il segretario generale, Raffaele Lorusso, hanno incontrato il presidente del Senato Pietro Grasso.

La questione è semplice: se è vero come è vero che i giornalisti devono comportarsi seguendo la deontologia della loro professione, bisogna anche considerare la possibilità che non tutte le querele abbiano basi fondate. Come riporta il sito del sindacato, nel corso dell’incontro è stato affrontato il tema delle querele temerarie: “Il numero dei giornalisti intimiditi attraverso le richieste di risarcimento danni milionarie, come sottolineato anche nella recente relazione della commissione Antimafia, è in costante aumento”, spiegano i vertici della Fnsi.

Perciò l’auspicio del sindacato è che nei passaggi parlamentari riguardanti la proposta di legge sulla diffamazione o la proposta di riforma del processo civile, sia introdotta una norma che preveda la condanna di chi intraprende un’azione che si dovesse rivelare temeraria al pagamento di una sanzione pecuniaria proporzionale all’entità del risarcimento richiesto, anche per punire la volontà di colpire il diritto dei cittadini ad essere informati”.

Giulietti e Lorusso hanno anche auspicato una modifica della proposta che affiderebbe la competenza territoriale al giudice del luogo di residenza del querelante in caso di azione promossa contro un sito online. Quest’ipotesi viene ritenuta pericolosa e secondo il sindacato andrebbe modificata prevedendo la competenza del tribunale del luogo in cui è registrata la testata. Ma in generale la priorità della Fnsi resta quella di agire con le istituzioni e con la commissione Antimafia per valutare tutte le possibili iniziative, a partire da quelle legislative, a tutela dei cronisti minacciati”.

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