Categories: Giurisprudenza

DIFFAMATO UN GIUDICE: POSSIBILE CARCERE PER SALLUSTI. SUCCEDE SOLO IN ITALIA

Criticato un giudice che ha permesso un aborto. 14 mesi di galera per Sallusti. Alla Cassazione l’ultima parola. Ma la corte di Strasburgo, dal 2009, ha vietato il carcere: «La detenzione inficia la libertà d’espressione». Compatti giornalisti e politici: «È inaccettabile. Bisogna rivedere la legge». Sallusti: «Sono sereno».
Mercoledì 26 settembre Alessandro Sallusti potrebbe finire in carcere. Il motivo? Diffamazione aggravata. Il “corpo del reato” fu un articolo scritto nel 2007 su Libero da Sallusti, allora direttore responsabile dal giornale. Il pezzo non porta la sua firma. Usò uno pseudonimo. Ma non importa. Per il principio della responsabilità oggettiva, il direttore risponde personalmente di ogni pubblicazione, chiunque l’abbia scritta.
Oggetto della condanna è la diffamazione ad un giudice tutelare di Torino, Giuseppe Cocilovo. Siamo nel febbraio del 2007. Il giudice permise ad una ragazza tredicenne di abortire. L’allora direttore di Libero (oggi alla guida de Il Giornale) invocò addirittura la “pena di morte” a chi permetteva l’aborto. Tuttavia Sallusti non citò nessuno in particolare. Ma non ce n’era bisogno: la vicenda era abbastanza nota. E Cocilovo ha querelato Sallusti.
Già in primo grado Sallusti fu condannato ad una pena pecuniaria: 5 mila euro di multa e 30 di risarcimento. La Corte d’Appello ha poi fatto lievitare la condanna aggiungendo 14 mesi di reclusione senza condizionale.
Ora sta alla Cassazione confermare o meno. È bene ricordare che la Cassazione non decide nel merito. I giudici di legittimità verificano solo l’esattezza del procedimento formale. Quindi se le “carte” sono in regola, Sallusti dovrebbe andare in prigione.
E la condanna non può lasciare indifferenti. Per quanto discutibile quella del giornalista (o di Sallusti stesso) era una opinione. E un Paese dove chi esprime un giudizio può andare in galera è un Paese che deve rivedere i proprio meccanismi giudiziari.
Bisogna anche pensare al riflesso che una simile condanna può avere sulla stampa. Sapere che un’opinione può portare alla galera potrebbe intimidire gli addetti ai lavori.
Certo, quando una qualsiasi pubblicazione supera i confini e tende a ledere l’onore e la rispettabilità altrui va punita. Il Codice infatti prevede anche l’obbligo di rettifica e pesanti multe pecuniarie. Ma da qui al carcere ce n’è passa. Anche se l’eventualità è contemplata dal articolo 595 del Codice penale (la diffamazione in Italia è un reato penale). «Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore ad euro 516». Inoltre «Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario [come nel caso in questione, ndr] le pene sono aumentate». In Italia funziona così. Piaccia o meno. In ogni caso è strano che una condanna pecuniaria in primo grado si sia trasformata in reclusione in Appello. Anche l’Ordine dei Giornalisti ha sottolineato la stranezza e ha invitato il ministro della Giustizia, Paola Severino per fare chiarezza. Si è espressa anche la Fnsi:«È inaccettabile che un giornalista per fare il suo lavoro e per le sue opinioni rischi la galera».
Anche il mondo politico ha stigmatizzato la vicenda. «Il carcere per un giornalista è una vergogna», ha dichiarato Alfonso Papa, del Pdl. «È arrivato il momento di modificare una normativa datata», ha aggiunto Bruno Murgia, altro pidiellino.
Stesse idee dal Pd. «Siamo contro I bavagli sempre e comunque, anche quando sotto giudizio finiscono persone e giornali, è il caso di Alessandro Sallusti, dai quali ci separa tutto», ha affermato il democratico Giuseppe Giulietti. «La politica deve riformare una legge antiquata», ha dichiarato Roberto Rao, Udc.
E in effetti al di là delle singole opinioni, l’Italia è rimasta “un po’ indietro”. L’Unione Europea si è espressa contro il carcere per i giornalisti. La sentenza è del 2009: «Il carcere, ancora previsto in casi di diffamazione a mezzo stampa negli ordinamenti dei Paesi membri, ha un effetto deterrente sulla libertà del giornalista di informare», ha dichiarato la Corte europea di Strasburgo. Le pene detentive, inoltre, non sono compatibili con la libertà d’espressione. Quest’ultima ne risulterebbe influenzata. Il tutto con inevitabile danno al diritto alla libera informazione.
Infatti in Francia, Germania e in Svezia la diffamazione, pur essendo un illecito penale, è punita solo con una ammenda pecuniaria. In Germania anche particolarmente pesante.
E anche fuori dalla Ue, la diffamazione è regolata diversamente. La Gran Bretagna, nel 2009, ha depenalizzato tutti i reati relativi all’opinione e alla diffamazione, anche se espressi sul web.
La Svizzera mostra una garantismo non indifferente. La diffamazione è punita con una pena pecuniaria. Ma solo se è evidente la malafede. Se il giornalista prova di aver agito nell’interesse pubblico non c’è reato. E in ogni caso il carcere non è contemplato.
Negli Usa i contorni del reato sono molto stretti e precisi: il contenuto deve essere falso e intenzionalmente malevolo.
Nei Paesi Baltici (Croazia, Serbia, Macedonia) è stata eliminata la reclusione da ben 6 anni, anche grazie all’intervento dell’Ocse (l’arresto di vari giornalisti croati non è stato vano).
Tornando in Italia, Sallusti, pur rischiando la galera, si sente «assolutamente sereno» in quanto convito della sua innocenza. Cosa deciderà la Cassazione?

editoriatv

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