Direttore Stefano Di Scanno, L’Inchiesta compie dieci anni. Com’è questo “compleanno” per il giornale?
«L’inchiesta-Quotidiano è stata costretta a fermare la versione stampata: ed ormai da settimane è fuori dalle edicole. Lo scorso marzo il virus ha bruciato pubblicità, decimato il numero dei lettori, essiccato buona parte dell’economia locale e le residue possibilità di resistere con conti almeno approssimativamente in ordine e stabili. La situazione ha spinto non pochi nostri colleghi a prendere strade lavorative diverse nei mesi scorsi. Anche la tipografia dove stampavamo alla fine si è arresa ed ha chiuso i battenti. Così il secondo quotidiano locale della provincia di Frosinone e del Lazio meridionale – il nostro – è rimasto tale grazie alla versione digitale in abbonamento, oltre al portale www.linchiestaquotidiano.it che resta punto di riferimento gratuito per decine di migliaia di persone ogni giorno».
Quando e come è nato il progetto?
«E’ nato dall’esigenza di dar voce ad un territorio di confine come l’Alta Terra di Lavoro. Area da sempre caratterizzata dalla forte attrazione verso la Campania, con la quale ha condiviso a lungo storia e tradizioni prima della ridefinizione dei confini avvenuta nel 1926. L’inchiesta – Quotidiano ha sempre espresso un punto di vista distante dai palazzi dei capoluoghi di provincia e della capitale. La proprietà dei soli giornalisti ha fatto il resto. Il confezionamento dei vari settori avviene sulla base del criterio della piena indipendenza, la linea editoriale spinge su temi come acqua pubblica, critiche al ciclo dei rifiuti, attenzione al mondo del lavoro, vicinanza alle esigenze degli ultimi».
In un ideale album quali sono le tre “notizie”, i momenti che hanno caratterizzato la vita del giornale?
«I molti vedono in noi la testata capace di esprimere forte critica nei confronti degli enti: dal Comune di Cassino all’Ato5 di Frosinone, dal Cosilam all’Asl del capoluogo, seguendo anche il filo di inchieste giudiziarie clamorose. Ci sono state esclusive nella cronaca nera e nella giudiziaria. Ma è impossibile fare una top ten puntuale a fronte di una massa considerevole e risalente di ricordi».
Come vede il futuro de L’Inchiesta e, più in generale della stampa?
«L’inchiesta al momento è destinata ad esplorare la dimensione digitale senza escludere ritorni al cartaceo sebbene – eventualmente – in versioni differenti da quella del quotidiano tradizionale. Il problema a mio avviso non è la carta ma, prima di tutto, l’esigenza di individuare nuovi sistemi di stampa digitale e diffusione editoriale: perché la rotativa tradizionale è eccessivamente costosa rispetto ai ricavi che il mercato oggi consente, così come il modello monopolistico delle edicole e dei centri unici di distribuzione appare manifestamente una strada senza sbocchi. Accanto a queste tematiche basilari c’è sicuramente il problema di innalzare la qualità dell’informazione attraverso una vera e continua formazione di quanti entrano nelle redazioni e intraprendono la professione. Penso alla presenza sempre più massiccia dei debunker. Perché a tutti i livelli si avverte, oggi più che mai, l’esigenza di testate che si occupino sistematicamente e costantemente di smentire notizie false, non verificate, manipolate ad arte da uffici stampa, politici, eletti, lobby economiche e centri decisionali. Questa è la frontiera vera: penso che una carta indipendente e opposta ai poteri, con un’organizzazione di stampa e distribuzione efficienti e innovativi, abbia davvero la possibilità di impostare la propria esistenza, non irrilevante e non marginale, al di là dell’avvilente stagione del Covid».