Delle scorte, dei mimi e di altre questioni: basta col modello Saviano

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La notizia è di quelle che fanno scalpore: Mario De Michele, il direttore della testata online Campania Notizie, è indagato perché la Procura ritiene che i colpi intimidatori della camorra contro la sua casa li abbia esplosi lui. La cronaca lasciamola agli altri, noi, al solito, proviamo a farci qualche domanda.

I giornali, tutti i giornali, dicono che la Procura ha scoperto che quei colpi di pistola contro la sua casa Mario de Michele li ha sparati da solo. Questa verità, così detta, rende inutili ulteriori indagini, l’udienza dal gup ed il processo. Esiste una sola verità ed è quella della Procura. Il resto è solo una inutile perdita di tempo. E nessun giornalista che pensa utile provare ad andare oltre la notizia, quali sono le ragioni per cui un collega arriva addirittura a commettere, forse, un reato per il solo gusto di avere una scorta.

Domande semplici, che nessuno si pone. L’altro elemento è la solerzia con cui il Comitato per l’ordine e per la sicurezza ha deciso di togliere la scorta al giornalista casertano. Perché il problema a quel punto non è perché hanno deciso di togliere la scorta, ma perché hanno deciso di darla. Non è un fatto di mimi, di finzioni, ma di criteri.

Fare i giornalisti è spesso un mestiere pericoloso. E lo è per tutti i giornalisti che nei territori infestati dalla criminalità si occupano di cronaca nera e di giudiziaria. Perché scrivono di malavita, perché entrano nel merito dei processi, perché parlano dei boss: e alla malavita piacerebbe che la regola dell’omertà si applicasse ai giornali come regola del silenzio.

Ma se fare il giornalista è un mestiere pericoloso, poi alcuni giornalisti riescono a trasformare il rischio in un mestiere. Una sottocategoria dei professionisti dell’antimafia descritta da Sciascia. Mentre la gran parte dei giornalisti fa il suo mestiere, senza scorta, senza stellette, alcuni lavorano per essere dichiarati eroi nazionali.

Il modello l’ha tracciato Roberto Saviano che ha scritto un buon libro prendendo a man bassa il materiale da un quotidiano locale e si è assunto il ruolo di giornalista d’inchiesta. La scorta l’ha avuta lui, come il successo, la ricchezza e la notorietà; ed un’aureola di santità. I giornalisti che quelle inchieste le fecero continuano a lavorare con schiena diritta, nonostante gli scossoni di una crisi che travolge i conti dei giornali per cui lavorano. Una scorta non si nega a nessuno, soprattutto se consente a chi decide di sottrarsi alle proprie responsabilità.

Ma questa vicenda potrebbe essere utile per riflettere sulla necessità di accertare il rischio della propria attività per tutti i giornalisti che si occupano di fatti che riguardano la criminalità. Abbandonando il modello Saviano. Che porta, qualcuno, forse, a spararsi da solo; mentre altri rischiano tutti i giorni.

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