“E’ inutile aggrapparsi al passato”. Parte di un’industria che «manca di una qualsiasi visione del futuro e cerca di aggrapparsi a un vecchio paradigma, che appartiene al passato», ha affermato Daniel Domscheit-Berg a Lettera43.it. L’attivista digitale tedesco, ex portavoce del fondatore di Wikileaks, Julian Assange, e oggi alle redini di un nuovo progetto per la divulgazione di informazioni riservate di interesse pubblico, Openleaks, si è detto «fortemente in disaccordo» con l’approccio adottato dall’Agcom. E ha invitato i cittadini italiani a spegnere le televisioni del presidente del Consiglio, «scrivere appelli», ribellarsi a un’ondata censoria che, tra l’altro, travalica i confini nazionali. Ma che altrove è stata combattuta con ben altra convinzione.
Domscheit-Berg, è necessario adottare la logica dell’Agcom per proteggere il diritto d’autore?
Sono convinto che i detentori dei diritti debbano essere protetti, ma mi trovo fortemente in disaccordo con questo approccio, per come lo posso capire.
Perché?
Il problema principale è prima di tutto che internet non è altro che uno strumento, una tecnologia. Non è quello che crea il problema di proteggere i diritti degli artisti o degli altri creatori di contenuti. È solo il mezzo di comunicazione di un mondo che sta diventando sempre più globalizzato, e come tale è essenziale mantenerlo libero da filtri e tecnologie simili, dato che avranno un impatto diretto sulla libertà di quella comunità globale. Oggi posso anche copiare un film e metterlo nella posta elettronica, ma non tutte le mail sono aperte per vedere se contengono prodotti illegalmenti copiati.
Ma resta il problema di remunerare i creatori di contenuti.
Per risolverlo, dobbiamo trovare soluzioni che siano compatibili con il presente e il domani. La gran parte dell’industria dell’intrattenimento manca di una qualsiasi visione del futuro e cerca di aggrapparsi a un vecchio paradigma, che appartiene al passato. Come dice Lawrence Lessig, internet ha reso possibile il ritorno a una società di lettori-scrittori, dove siamo tutti non solo consumatori, ma anche creatori. Aver riguadagnato questo potere è qualcosa che va protetto a ogni costo.
Come si dovrebbe trattare, dunque, il problema del diritto d’autore?
Non c’è una legge ideale su questo, a mio parere. Credo che l’unica soluzione sia adattarsi a una società in cui la condivisione è parte della cultura. In ogni caso, personalmente non capisco il problema.
In che senso?
Una canzone, un film o qualsiasi altro contenuto creativo più viene copiato e più acquista valore. In pratica, diventa più prezioso se un gran numero di persone lo apprezzano e condividono tra loro. Ciò di cui abbiamo bisogno sono nuovi modi di guadagnarsi da vivere attraverso un simile modello. Servizi come Flattr, per esempio, consentono a chiunque di consumare contenuti e sostenere il creatore su base volontaria. Nessuno è lasciato fuori, dato che non c’è un prezzo fisso. Ma simili modelli aiutano a comprendere che i creatori di contenuti hanno bisogno di guadagnarsi da vivere.
Qualche esempio?
Ci sono già degli innovatori attivi in questo campo. La band tedesca Deichkind ha rinunciato a tutti i contratti con gli studi di produzione e offre musica gratuitamente. Campano coi tour, il merchandising e simili. Sono più popolari che mai e fanno più soldi di sempre, dato che hanno tagliato gli intermediari. La questione non è che la gente condivida o meno i contenuti. Il problema è il dinosauro dell’industria incapace di accettare che il suo tempo è scaduto.
Anche se il rischio è condurre alla censura. Ma funziona?
Qualunque sforzo per filtrare internet non è altro che propaganda. Non funzionerà per chiunque sia in grado di utilizzare la tecnologia, dato che ogni filtro può essere aggirato. Da questo punto di vista tutti gli sforzi non sono altro che uno spreco di energie, denaro e fatica. Non risolvono il problema alla base e, per di più, costruiscono un’infrastruttura che consente la censura di qualunque comunicazione dichiarata immorale o sgradevole. Questo non deve succedere per nessuna ragione.
E il problema non riguarda solo l’Italia.
Nel 2009, Germania e Australia hanno cercato di introdurre sistemi di filtraggio in rete per impedire la diffusione di pedopornografia online. Il che di primo acchito può suonare come un’impresa nobile, ma è decisamente il contrario. Perché avrebbe significato l’introduzione di sistemi obbligatori di filtraggio che si possono sempre eludere e che, alla fine, non si interessano di quello che viene filtrato.
La delibera equipara pedofilia e violazione del copyright…
Oggi è la pedopornografia, domani il materiale protetto da copyright, ma dopodomani possono essere nel mirino anche le minoranze religiose o i siti gay e lesbo. Tutto ciò che viene chiesto da una lobby abbastanza forte. E non cambia il fatto che i bambini siano abusati. Non si può risolvere nessuna di queste questioni cercando di controllare la comunicazione. Bisogna trovare soluzioni nella società, nel sistema.
Che cosa avete fatto per opporvi?
In Germania abbiamo vanificato questo tentativo con un grande movimento civile e la più grande petizione online mai organizzata contro un piano legale tedesco, con oltre 100 mila firmatari. In questi giorni, due anni dopo, siamo di fronte a un altro gruppo che preme per i filtri (che sorpresa!). Questa volta, la scusa è il gioco d’azzardo illegale in rete. Ma nemmeno loro ce la possono fare.
Per l’Onu l’accesso a internet dovrebbe essere un diritto universale. Allora perché non reagisce?
È una grossa istituzione e si muove lentamente. Per svegliarla, quegli italiani che ancora godono di reali libertà e non sono distratti dalla disgustosa industria dell’intrattenimento a suon di tette finte costruita da Silvio Berlusconi e dai suoi amici dovrebbero iniziare a scrivere appelli.
La libertà di espressione è un bene che va difeso attivamente?
In futuro, questa libertà non sarà più gratuita. Non avremo la possibilità di starcene seduti senza far nulla e scoprire con sorpresa che è andato tutto bene. Il futuro, un futuro libero, richiede il nostro intervento. Stiamo affrontando un grande cambiamento di paradigma verso una società globale. Ci sarà richiesto di prendere una posizione sul grado di libertà che vogliamo e combattere attivamente per ottenerlo.
Le questioni legali sono importanti per il leaking digitale (la fuga di informazioni in Rete). L’Italia è un contesto pericoloso, da questo punto di vista?
Credo che l’Italia sia un esempio perfetto del motivo per cui il whistleblowing (l’atto di denunciare pubblicamente illeciti coperti da segreto, ndr), online e offline, sia indispensabile. Il sistema politico e la sua influenza sull’opinione pubblica attraverso i mass media sembra più un brutto scherzo che la realtà. Sono stato molto felice di osservare i recenti sviluppi volti a rendere il governo più responsabile, ma c’è ancora moltissimo da fare. Ogni passo che farete vi farà sentire più liberi, e starete meglio. Ora dovete solo proseguire.
C’è un legame tra sottosviluppo digitale e scarso rispetto per la libertà di espressione?
Senza dubbio. Il problema nel vostro caso è che chi detiene il potere non trae beneficio dallo sviluppo della banda larga e dalla promozione della libera espressione. Anzi, è il contrario. Significherebbe uno scambio più vivace tra cittadini, rispetto alla comunicazione unidirezionale degli show televisivi che sembra accecarne tanti. Ho letto di recente uno studio secondo il quale molte ragazze italiane aspirano a diventare veline. Ne sono rimasto scioccato, e mostra fino a che punto siano intrappolati in un’affascinante illusione che distrae dai problemi reali, che richiedono più attenzione.
La cecità della classe dirigente per l’innovazione dipende dall’impero mediatico di Berlusconi?
Assolutamente sì. A che serve l’innovazione nel campo del libero scambio di opinioni a una classe dirigente che governa attraverso il controllo di quelle opinioni? A nulla. Significherebbe la fine di quella classe dirigente. È questo che gli italiani devono comprendere. Se vi siete stufati di donne finte, politica finta, battaglie finte contro la mafia e la corruzione iniziate a organizzarvi da voi stessi contro tutto questo. Se possono farlo l’Egitto e la Tunisia, potete farlo anche voi. Basta spegnere la televisione.
Tuttavia, la tendenza a livello globale è verso il «controllo 2.0».
Il problema con il controllo 2.0 è che si svolge a livello tecnico, e che la gran parte delle persone e delle organizzazioni non lo comprendono. Se si parla di sistemi di filtraggio, per esempio, non è chiaro a tutti quali implicazioni possa avere nel medio termine aprire un simile vaso di Pandora.
Che fare?
Serve una educazione migliore, e bisogna rendere le persone più consapevoli della tecnologia che utilizzano. In parte, il problema sarà risolto dal tempo, è una questione di generazioni. Ma fino a quando quel tempo non sarà passato, chi ne comprende il livello tecnico ha il dovere di impedire a noi tutti di prendere la direzione sbagliata. Di nuovo, le libertà future non verranno senza sforzo, senza il nostro intervento.
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