“La televisione è brutta, sporca e cattiva, e forse anche peggio: è addirittura stupida”. Sono affermazioni del Presidente del Corecom del Friuli Venezia Giulia, Franco Del Campo, che continua: “Che la televisione fosse deficiente lo aveva detto anche la signora Franca Ciampi, suscitando consensi e polemiche, ma adesso la condanna sulla televisione nazionale viene da Corrado Calabrò, presidente dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, che la definisce “desipiente”, cioè, in italiano “volgare”, deficiente. In questo caso non si tratta del giudizio, forse un po’ datato, di persone beneducate ed affezionate al buon vecchio mondo antico, ma della massima autorità nazionale del settore, sostenuto da migliaia di dati che delineano la condizione attuale della televisione in Italia. Il quadro che ne emerge, al di là della cortesia istituzionale, è per lo meno inquietante.
La televisione – prosegue Del Campo – continua ad essere “senza qualità”, soprattutto a causa dell’omologazione del servizio pubblico ai modelli imposti dalle emittenti commerciali. Permane la “concentrazione binomiale”, nonostante la crescita della TV a pagamento SKY, che vede l’audience del duopolio Rai-Mediaset all’82,3% e la raccolta pubblicitaria all’84,1% dei ricavi. Ma non basta. Mentre nel resto del mondo avanzato la cosiddetta “dieta mediatica” tende a modificarsi, con un sensibile decremento della televisione, in Italia la “cattiva maestra” continua a raccogliere la parte nettamente prevalente dell’ascolto, della pubblicità e quindi dei finanziamenti ai media, soprattutto a scapito della carta stampata. Non meraviglia, quindi, rispetto all’anomalia italiana, che il presidente dell’Autorità indichi con particolare severità quella che è l’origine del suo potere e dei suoi mali: “è la televisione a dettare i tempi le modalità del dibattito politico”. La stessa “par condicio”, che dovrebbe regolamentare in periodo elettorale i tempi e gli spazi dedicati alla politica, appare gravemente consumata e necessita di una revisione. Lo scenario devastante descritto dall’Autorità per le Granarie nelle Comunicazioni si concentra su tre pilastri della vita civile del Paese: informazione, giustizia e politica.
L’informazione, ormai omologata al ribasso, punta soprattutto all’audience, “con smodate intrusioni nella vita privata delle persone”. La televisione, poi, sembra volersi sostituire ai tempi troppo lenti della giustizia inscenando una sorta di “mimesi del processo” nei salotti televisivi innescando in certi magistrati la deteriore “tentazione di protagonismo”. Ma è la simbiosi tra politica e televisione a produrre le conseguenze più deteriori. La politica, con le sue “spinte e controspinte”, paralizza il servizio pubblico (RAI), incapace di svincolarsi “dall’abbraccio dei partiti”.
I rimedi al quadro attuale, secondo Del Campo, ci sono ma deve intervenire il Parlamento, altrimenti, si dovrà aspettare il 2012, quando è previsto lo switch-off. Con il passaggio al digitale terrestre, si dovrebbero moltiplicheranno i canali a disposizione e, quindi, migliorerà il pluralismo dell’offerta televisiva. “Affidare la soluzione di un tale intreccio di interessi e degenerazioni alla semplice evoluzione tecnologica può essere un eccesso di ottimismo della volontà. Eppure, se questa è la strada da seguire, l’Italia dovrà dotarsi di un sistema avanzato di cablatura in fibre ottiche che moltiplichi la potenza di trasmissione delle informazioni (nel 2011, secondo l’Autorità, servirà una capacità di banda di almeno 50 Mbps, rispetto agli attuali 3-8 Mbps). Gli investimenti richiesti sono “imponenti” (dagli 8 ai 15 miliardi di euro) ma sono fondamentali per garantire una effettiva modernizzazione del Paese nelle comunicazioni, nella formazione, nella pubblica amministrazione e soprattutto a favore della competitività delle imprese”.
Fabiana Cammarano
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