In principio fu il governo Prodi nel 2007 con la firma di Clemente Mastella e di Giuliano Amato, ministri della Giustizia e delle Finanze dell’allora governo, a stilare quella che sarebbe divenuta la ben nota «Legge Bavaglio» di cui si è tornato a parlare in merito al ddl intercettazioni del ministro Severino.
Era il 17 aprile del 2007 quando fu promulgato il testo che di fatto vietava la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, degli atti di indagine contenuti nel fascicolo del pubblico ministero o delle investigazioni difensive, fino ad udienza preliminare, la pubblicazione, anche parziale, per riassunto o nel contenuto, della documentazione e degli atti relativi a conversazioni, anche telefoniche, o a flussi di comunicazioni informatiche o telematiche ovvero ai dati riguardanti il traffico telefonico o telematico fino ad udienza preliminare, la pubblicazione, anche parziale, per riassunto o nel contenuto, delle richieste e delle ordinanze emesse in materia di misure cautelari.
Il testo, approvato dalla Camera, al Senato fu esaminato solo dalla Commissione che non riuscì a licenziarlo per l’esame in Aula prima della caduta del Governo e della conseguente interruzione della legislatura.
Se ne tornò a parlare nel corso del successivo governo che vide il ritorno di Berlusconi alla guida del paese.
Sostanzialmente la legge non fu sottoposta a cambiamenti, ma piuttosto inasprita nelle misure di carattere restrittivo.
Il testo di Prodi a differenza del testo Alfano, consentiva la pubblicazione del contenuto degli atti (intercettazioni escluse, che non erano in ogni caso pubblicabili) non più coperti dal segreto. Inoltre, introduceva una semplice sanzione amministrativa per la violazione dei divieti di pubblicazione, che comunque non si estendeva all’editore.
La relazione del governo Berlusconi è stilata dal guardasigilli allora in carica Angelino Alfano ed in aggiunta si serve dell’ utilizzo dell’Ordine dei giornalisti e del Consiglio superiore della magistratura come strumenti repressivi.
Si innesca quindi una lotta intestina tra soggetti appartenenti alle categorie di giornalisti e magistrati e di conseguenza si grida alla morte della libertà di stampa e di informazioni con conseguenti mobilitazioni popolari.
Caduto il governo Berlusconi, il paese è affidato al governo tecnico presieduto da Mario Monti e guarda un po’ si torna a parlare del ddl intercettazioni e il ministro della giustizia Paola Severino torna a riproporre un emendamento al ddl sulle intercettazioni che nella sostanza ripropone nuovamente una norma che in realtà si pensava accantonata.
Il ddl intercettazioni della Severino presentato al vaglio dell’Aula della Camera il 4 Maggio scorso propone però un nuovo punto, il ministro pensa a un filtro durante le indagini.
L’idea di base è di assegnare al magistrato il compito di escludere le notizie che non sono rilevanti e attengono esclusivamente alla sfera personale del provvedimento, anche in quelle fasi nelle quali il provvedimento viene consegnato alle parti.
L’intenzione è quella di preservare tanto il diritto-dovere del giornalista di informare su fatti di rilevo tanto tutelare la riservatezza del cittadino.
Ma a molti il ddl intercettazioni risulta essere solo una minestra riscaldata con piccole modifiche per addolcire la pillola, cambiano i governi ma non cambiano le leggi.
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