Slitta ancora la votazione sul ddl alla commissione del Senato: l’obiettivo è mercoledì. Ma si temono altri colpi di mano. Doveva essere tutto finito ieri, in Senato. Poi si è detto martedì. Ma il voto del disegno di legge sulla diffamazione a mezzo stampa slitta ancora e adesso si parla di mercoledì prossimo.
Dopo i 104 emendamenti al testo-base Chiti-Gasparri, in commissione Giustizia sono arrivati ben 37 subemendamenti e si attendono i pareri del ministro della Giustizia, Paola Severino.
La riforma, accelerata dopo la condanna definitiva a 14 mesi di carcere per Alessandro Sallusti, procede ormai tra mille intoppi e manovre dilatorie, malgrado la sede deliberante attribuita alla Commissione dal presidente del Senato, Renato Schifani. Mentre scorrono i giorni che avvicinano il direttore del Giornale alla prigione, visto che durante la sospensione dell’esecuzione della pena non intende chiedere l’affido in prova ai servizi sociali né la grazia. Ieri sono state presentate le proposte di modifica dei relatori, Silvia della Monica per il Pd ed il presidente della Commissione giustizia, Filippo Berselli, per il Pdl. Ma l’esame del testo finale non si è concluso e ci si è aggiornati a martedì, per consentire alla Guardasigilli di studiare i subemendamenti. La Severino, spiegano i relatori, «ha espresso apprezzamento per il lavoro svolto e si è riservata di formulare suggerimenti».
L’obiettivo «è quello di votare mercoledì», assicura Berselli. Ma dopo il blitz di mercoledì, quando alcuni senatori hanno sollecitato il passaggio del provvedimento in aula, rimane anche la spada di Damocle di un altro tentativo in questo senso, che allungherebbe i tempi a dismisura. «Per giustificare la scelta della deliberante – dice la Della Monica – dobbiamo trovare un’ampia condivisione in commissione».
La bozza del ddl ha alcuni punti fermi: niente carcere per i giornalisti, obbligo di rettifica con la stessa collocazione della notizia cui si riferisce, responsabilità del direttore per l’omesso controllo e coinvolgimento dell’editore quando c’è concorso doloso con l’autore del pezzo o con il direttore, ad esempio in caso di un «dossieraggio». La linea dei relatori mette l’accento sulla centralità appunto della rettifica, in caso di pubblicazione di notizie false o lesive della reputazione del diffamato. Adempiere a quest’obbligo potrebbe rappresentare un’attenuante anche in caso di condanna. Comunque, precisa Berselli, «non ci sarà il carcere per i giornalisti, nemmeno in caso di recidiva».
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