Ddl diffamazione: vietati i commenti nelle rettifiche. Ecco la legge che impone come scrivere gli articoli

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L'aula del Senato

Dovranno essere pubblicate senza commento, senza risposta e senza titolo le rettifiche che i giornali – anche quelli online – pubblicheranno all’indomani dell’entrata in vigore del nuovo Ddl diffamazione approvato dal Senato. Negato anche il titolo dell’articolo ai giornalisti: la legge impone che in capo al pezzo ci sia scritto solo “Rettifica dell’articolo (TITOLO) del (DATA) a firma (AUTORE)”. La bozza di legge dovrà tornare alla Camera per l’approvazione definitiva dopo le modifiche di Palazzo Madama, ma il contenuto fa discutere ancor prima dell’entrata in vigore.

Obbligo di rettifica: stop a commenti e risposte dei giornalisti
La disciplina del 1948 sull’obbligo di rettifica brilla per la sua modernità rispetto alle modifiche ad essa apportate dal Senato. In base alle nuove norme, infatti, le rettifiche andranno pubblicate senza commenti da parte del giornale.
A chi si sentirà offeso da un articolo o da un’immagine pubblicata – pur quando si tratti di notizia vere – basterà inviare le sue dichiarazioni al direttore responsabile della testata, che dovrà pubblicarle integralmente in testa alla stessa pagina in cui era pubblicata la notizia oggetto di rettifica.
Per il giornalista che ha scritto il pezzo sarà impossibile rispondere o commentare la smentita: gli basti, ai sensi del nuovo articolo 13 della legge 47/48, la possibilità di sottrarsi alle pene pecuniarie laddove siano pubblicate le rettifiche così come la legge impone. Niente sanzione per il giornalista anche quando la smentita non viene pubblicata ma ne abbia comunque chiesto la pubblicazione al direttore responsabile.
Si provi ad immaginare il risultato di questa legge in giorni come questi di inchieste scottanti: le prime pagine delle testate si trasformerebbero in verbali di parte, a tutto vantaggio delle rettifiche con buona pace delle notizie.

Titolisti a riposo: a scrivere ci pensa la legge
Ma c’è di più nella nuova legge sulla rettifica: inopinatamente si impone alle redazioni anche il titolo da riportare in testa alla rettifica. La norma impone che venga titolato “Rettifica dell’articolo (TITOLO) del (DATA) a firma (AUTORE)”: più il titolo del verbale di un’aula giudiziaria che l’incipit di un articolo, o di quello che ne rimane considerato il testo esclusivamente di smentita.
Il rischio è di snaturare completamente il senso d
el giornale, che se la legge venisse approvata rischia di trasformarsi in un tedioso susseguirsi di agenzie di stampa.
La norma appare quanto più obsoleta in ragione del ruolo sempre più di opinione che di notizia dei giornali: nell’epoca dei tweet e dei flash di agenzia chi compra il giornale all’indomani della smentita del protagonista del pezzo vuole conoscere le ragioni del giornalista piuttosto che la ripetizione di quanto già letto in rete in tempo reale o ascoltato nelle edizioni serali dei tg.

Carta stampata e giornali online: la legge equipara due universi paralleli
Il ddl applica la stessa disciplina della carta stampata anche alle testate online: entro due giorni i siti dovranno pubblicare la smentita, inserendola anche in calce all’articolo contestato senza modificarne l’URL.
Da più parti però si sollevano perplessità: come possono due strumenti così diversi essere equiparati?
Gl articoli per il web possono essere modificati in ogni momento: è davvero necessario imporre un titolo così poco accattivante e limitante della libertà di informazione?
Non resta che sperare che queste saranno le domande che i Deputati si porranno prima di approvare questo disegno di legge pieno di criticità e di rischi per il diritto ad informare ed essere informati

Niente carcere per i giornalisti ma pene pecuniarie più alte
Più salate anche le multe per la mancata pubblicazione di rettifica: stangate fino a 16mila euro per chi non ottempera. In compenso chi agisce temerariamente contro i giornalisti può vedersi condannato anche per una somma equitativa in caso di sentenza di non luogo a procedere.

 

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