Categories: Giurisprudenza

DDL DIFFAMAZIONE, RUTELLI: «NESSUN GIORNALISTA ANDRÀ REALMENTE IN CARCERE». MALAVENDA: «ALLORA PERCHÉ LO AVETE VOLUTO?»

Il senatore Francesco Rutelli: «La diffamazione è un reato grave e odioso. Va punita. Riguardo alla reintroduzione della pena detentiva nessun giornalista andrà mai realmente in galera. La pena massima è solo di anno». Caterina Malavenda, avvocato specialista in diritto dell’informazione: «Se nessuno ci andrà mai perché lo avete voluto? E poi aspetto un emendamento per punire le querele temerarie».
Rutellli e la Malavenda si sono confrontati sulle pagine de Il Fatto quotidiano sugli ultimi sviluppi del ddl diffamazione. Il leader dell’Api e l’avvocato hanno idee diverse. Ma, non sono un caso isolato. Lo stesso vale per i parlamentari italiani di Palazzo Madama. Qualche giorno fa è stato reintrodotto il carcere per il reato di diffamazione nel ddl omonimo. Complice il voto segreto, chiesto dall’Api e sottoscritto da ben 55 senatori, nel provvedimento al vaglio dell’Aula, è stato reintrodotta, come pena alternativa alla multa da 5 a 50 mila euro, la reclusione fino ad un anno. E pensare che, paradossalmente, il ddl diffamazione è nato per salvare Alessandro Sallusti (ex direttore di Libero condannato in Cassazione a 14 mesi di reclusione, per aver leso l’onore del giudice tutelare Giuseppe Cocilovo, pubblicando un articolo diffamatorio firmato con uno pseudonimo, Dreyfus) dalla galera.
Bisogna precisare che il gabbio è stato reintrodotto tramite un emendamento della Lega. Ma è stato votato dall’Api e da folte frange bipartisan di Pd e Pdl. Infatti è stato suffragato da ben centotrentuno senatori. Tuttavia le posizioni ufficiali di Pd, Pdl e Udc sono contrari al carcere per i giornalisti.
Infatti ne è nata una polemica. Il Parlamento è stato tacciato di voler imbavagliare la stampa e di volersi vendicare dei giornalisti scomodi, nascondendosi “dietro” il voto segreto.
Ma non manca chi ha rivendicato con convinzione la propria scelta.
È il caso di Rutelli. Il leader dell’Api ha argomentato la sua scelta sia in tv che sulla carta stampata. «La diffamazione è un reato odioso che può rovinare la vita delle persone, vedi il “caso Tortora”. Non a caso la legge che la disciplina è del 1948. Allora la Repubblica democratica voleva evitare che la stampa diventasse un’arma per eliminare oppositori politici e personaggi scomodi, come era avvenuto durante il fascismo. Oggi va scongiurato il rischio che chi abbia molti soldi possa diffamare senza particolari rischi. Inoltre la legge attuale prevede da uno a sei anni di reclusione. E in aggiunta c’è la multa. Invece il nuovo testo alleggerisce le sanzioni, prevedendo la galera fino ad un anno come pena alternativa alla sanzione pecuniaria. Quindi nessun giornalista andrà realmente in carcere».
In effetti Rutelli, quando dice che il rischio del carcere è minimo, non ha tutti i torti.
La legge 199/2010 del 26 novembre, soprannominata “svuota carceri”, firmata dall’ex ministro della Giustizia, Angelino Alfano e poi modificata dall’attuale Guardasigilli, Paola Severino, prevede che le pene detentive inferiori ai 18 mesi possano essere sostituite con le misure alternative. In questo intervallo rientra la pena di Sallusti, che consta, appunto, in 14 mesi di galera. Ma il direttore del Giornale ha più volte dichiarato di non voler chiedere una commutazione della pena.
Ma prescindendo dal caso singolo, ci sono varie problematiche da affrontare. Non ultima l’omogeneità con le leggi dell’Ue.
Per quanto riguarda l’incompatibilità delle pene detentive con le direttive europee, Rutelli sembra smentire il commissario Ue per i diritti umani, Nils Muiznieks. «Mantenere il carcere per i giornalisti sarebbe un grave passo indietro per l’Italia che rimarrebbe fuori dagli standard europei sulla diffamazione. Per i reati di stampa servono misure proporzionate presenti nel codice civile. I giornalisti non devono andare il galera», ha precisato Muiznieks.
Invece Rutelli ha affermato che «in tutta Europa è previsto il carcere per la diffamazione grave. E la Corte europea dei Diritto dell’uomo ha dichiarato che c’è compatibilità tra la pena detentiva e i reati di diffamazione gravi».
Tralasciamo ora questa non minimale discrasia. Torniamo alle idee del leader dell’Api. Rutelli ha affrontato anche il capitolo multe. L’ex sindaco di Roma ha affermato che le sanzioni pecuniarie non sono sproporzionate. «Con le attenuanti generiche le multa oscilla tra i 1,5 e i 15 mila euro. Il tutto per un reato non meno grave che rubare una mela», ha affermato Rutelli il cui ragionamento è finalizzato a questo proposito: «Difendiamo le vittime, non i diffamatori».
In effetti il fine ultimo è lo stesso: trovare un giusto bilanciamento tra il diritto all’informazione e la reputazione delle persone. Ovviamente anche per Caterina Malavenda la diffamazione va punita e le vittime vanno tutelate. Tuttavia l’avvocato esperto in diritto dell’informazione non concorda con il ragionamento del senatore.
«Se nessuno, come assicura Rutelli, finirà in carcere, perché il leader dell’Api ha voluto la reintroduzione della pena detentiva? Non certo per la funzione deterrente. Se non fanno paura sei anni [il massimo previsto con la legge attuale, ndr] perché dovrebbe spaventare uno solo?».
Inoltre la Malavenda non è d’accordo nemmeno con l’entità delle multe. «Con le attenuanti generiche la sanzione viene ridotta, al massimo, di un terzo. La condanna oscilla da 3,4 a 34 mila euro [più del doppio di quella prevista da Rutelli: da 1,5 a 15 mila, ndr]».
E poi la Malavenda affronta un tema spesso trascurato: come difendere i giornalista dalle cosiddette querele temerarie. Lo stesso Rutelli ha più volte affermato che è favorevole a punire chi tenta di intimidire i giornalisti avanzando denuncie senza fondamento. Tuttavia, secondo la Malavenda, manca ancora un emendamento ad hoc. «Se Rutelli è favorevole a sanzionare le azioni temerarie, come mai manca ancora un emendamento a sua firma che lo preveda?».
Non è escluso che martedì, quando il ddl diffamazione, verrà discusso, forse per l’ultima volta in Senato (prima del definitivo “affossamento) ci possano essere ulteriori sviluppi.

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