Il ddl diffamazione, varato in seguito alla condanna a 14 mesi di reclusione inflitta all’ex direttore di Libero Alessandro Sallusti, torna oggi in commissione Giustizia al Senato. Il Pdl insiste per l’approvazione del testo. Ma il Pd frena. Intanto il mondo della stampa ha preso una netta posizione: i direttori delle principali testate nazionali hanno, infatti, firmato l’appello di protesta della Fnsi (Federazione nazionale della stampa italiana) contro l’attuale provvedimento tacciandolo di “legge liberticida che disincentiva il giornalismo d’inchiesta”.
A quasi un mese e mezzo dall’inizio dei lavori (il ddl è “nato” poco dopo la conferma della condanna, in Cassazione, a Sallusti, avvenuta lo scorso 26 settembre) il disegno di legge torna nuovamente al vaglio della commissione Giustizia del Senato.
Ci sono ancora troppi punti da limare. Il Parlamento, dopo un iniziale “sprint bipartisan” (causato forse dal clamore per una condanna così illustre ed inaspettata), si è arenato su tutti i punti cardine del testo di legge. Anche la “missione” principale dell’abolizione del carcere è stata messa in discussione. La richiesta del voto segreto sull’articolo 1 (quello che regola la galera e le sanzioni pecuniarie) impugnata da Francesco Rutelli ne è un esempio.
Inoltre bisogna ancora decidere sulle sanzioni disciplinari, ovvero sulla entità della sospensione dalla professione. Possibili pene da un minimo di tre mesi fino ad un anno, a seconda della recidiva.
Si è parlato di estendere la norma anche alle testate telematiche registrate. Tuttavia il Pd vorrebbe un web totalmente “franco”. Mentre il Pdl vorrebbe inglobare nella legge anche i blog.
Poi c’è la questione rettifiche. Come pubblicarle? Sarà possibile commentarle? E ancora: eventuali sentenze di condanna andranno pubblicate integralmente? Sono tutti interrogativi ancora validi.
E non è finita qui. Visto, infatti, che la rettifica “ha senso” solo se pubblicata subito dopo l’articolo diffamatorio (dato che la sua ragion d’essere è quella di ripristinare la verità e “risanare” l’onore leso), chi deciderà se deve essere pubblicata o meno? In altre parole che deciderà, entro pochi giorni, se c’è stata o meno, la diffamazione? Franco Siddi, segretario generale della Federazione nazionale della stampa (Fnsi) ha proposto la creazione di un Giurì dell’informazione che decida in tempi rapidi la controversia. E non si esclude, in casi più complessi, anche il ricorso alla magistratura ordinaria. Ma qui i tempi rischierebbero di allungarsi rendendo così vano, per non dire inutile, lo strumento della rettifica
E poi ci sono le multe. Queste probabilmente saranno comprese da 5 mila a 50 mila euro. Dunque il tetto massimo è stato dimezzato (inizialmente si era parlato di 100 mila euro). Tuttavia per la Fnsi e i maggiori direttori di testata italiani si tratta di cifre comunque eccessive. «Anche se le multe sono state dimezzate, parliamo sempre di una decuplicazione rispetto alle sanzioni attuali», ha affermato Siddi.
In ogni caso la palla passa ora ai senatori della commissione Giustizia. Entro domani il ddl dovrà passare all’esame dell’aula del Senato. Quindi, per dirla in parole povere, bisogna sbrigarsi. «Presentatelo voi [riferito al Pd, ndr] un testo qualsiasi e noi lo voteremo. Mercoledì è già fissata la seduta a Palazzo Madama. Qualcosa dobbiamo portare», ha ironizzato Filippo Berselli, relatore Pdl del ddl.
Il Pd, invece, invoca “calma e gesso”. Anche a costo di stoppare il decreto. «Sarebbe opportuno lasciar perdere. La legge è seria e delicata. Non possiamo procedere in fretta», ha ammonito la relatrice democratica, Silvia Della Monica. «Tanto Sallusti in carcere non ci andrà mai», ha puntualizzato l’ex magistrato Gerardo D’Ambrosio, senatore Pd.
Ma non è solo il partito di Bersani a contrastare eventuali “degenerazioni liberticide” del ddl diffamazione. Ieri, in occasione della giornata internazione del giornalismo (“Stand up for journalism”), i maggiori direttori di testate italiane hanno sostenuto l’iniziative di protesta voluta dalla Fnsi. «Si tratta di una legge liberticida che disincentiva il giornalismo d’inchiesta e la rende una professione pericolosa e a rischio di autocensura», ha dichiarato Siddi. Il sindacato dei giornalisti italiani, oltre a chiedere un incontro chiarificatore col governo, ha stilato un documento di protesta. E le firme autorevoli non sono mancate. Hanno sottoscritto la dichiarazione, tra gli altri, Alberto Maccari (Tg1), Marcello Masi (Tg2), Corradino Mineo (Rai News), Ferruccio De Bortoli (direttore del Corriere della sera), Maurizio Belpietro (direttore di Libero), Mario Orfero (del Messaggero), Mario Sechi (del Tempo), Claudio Sardo (dell’Unità).
In tutto ciò il più calmo e disinteressato sembra essere proprio il “diretto interessato”. «Non devono esserci abusi. Non ho problemi ad andare in carcere», ha affermato ieri Sallusti.
Il comitato di redazione di Askanews “chiama” il sottosegretario Alberto Barachini. I giornalisti dell’agenzia di…
Anche i pubblicitari si oppongono alla web tax: Federpubblicità snocciola numeri, dati e cifre per…
La manovra non piace agli editori perché non c’è “niente per il libro”. E l’Aie…
La web tax ha aperto un dibattito anche all’interno del governo. Il sottosegretario alla presidenza…
Così parlò Barbara Floridia, presidente della Commissione parlamentare di vigilanza Rai: “È fondamentale che chi…
Tutti spiati: l’inchiesta a Milano mette in seria discussione alcune delle libertà fondamentali del cittadino…