Ddl diffamazione: oggi si decide se approvare il testo con il “salva direttori” o meno. Il Pd ha chiesto il voto segreto per affossare definitivamente la legge. Dello stesso parere Idv, Udc e Api. Pdl e Lega spingono, invece, per l’approvazione. Difficile la situazione di Paola Severino, ministro della Giustizia, che cerca, in questa fase, una difficile mediazione. La Fieg e la Fnsi annunciano, dal canto loro, una protesta al Pantheon contro una legge giudicata «iniqua e anticostituzionale». Intanto l’ex direttore di Libero Alessandro Sallusti, la cui condanna a 14 mesi di reclusione ha dato, di fatto, il via all’iter del ddl, ha ricevuto l’ordine di arresto domiciliare. Tocca ora al magistrato di sorveglianza decidere se confermare o meno la detenzione.
Oggi, a Palazzo Madama, si dovrà discutere sulla nuova versione del testo. E si rimette tutto in discussione. Il Pd, ma anche l’Idv, l’Udc e l’Api, chiedono la sospensiva del provvedimento. Il partito di Bersani ha chiesto il voto segreto per l’art.1 del ddl. Si tratta della “porzione” di testo che ingloba l’emendamento “salva direttori”. Ed è stato il capogruppo del Pd al Senato, Anna Finocchiaro, a chiedere l’anonimato della votazione.
Il Pdl e la Lega, dal canto loro, difendono il disegno. Non a caso è stato proprio Filippo Berselli, presidente della commissione Giustizia (in quota Pdl) a varare l’emendamento “salva direttori”. Ricordiamo che tale modifica è stata già approvata, la settimana scorsa dall’Aula di Palazzo Madama con 122 voti favorevoli, contro i 111 contrari e 6 astenuti.
Il Pd resta fermo nelle sue intenzioni. «Il ddl è ormai un obbrobrio. Non resta che ritirarlo. Oppure, se non sarà possibile, cercheremo di farlo cadere col voto segreto», ha dichiarato il democratico, Vincenzo Vita.
Berselli (relatore unico del testo, dopo le dimissioni della democratica Silvia Della Monica) ostenta, invece, soddisfazione: «Il ddl può essere perfezionato. Ma è già meglio della legge attuale. La protesta è inconcepibile. È frutto di disinformazione e malafede».
In effetti vanno fatte delle precisazioni per rendere il quadro generale più chiaro: la bozza attuale del ddl prevede per i giornalisti condannati per diffamazione il carcere fino ad un anno; mentre la legge in vigore contempla un massimo di sei. Inoltre per quanto riguarda le multe comminate a direttori e vice-direttori sono previsti degli “scaglioni” a seconda della “quantità” di colpa e dell’eventuale dolo riconosciuto: da 2 a 20mila euro per mero omesso controllo; da 3 a 30 mila euro qualora l’autore sia ignoto o non identificabile ovvero sia un giornalista professionista sospeso o radiato dall’ordine (la multa, in questa circostanza, “oscilla” tra i 3 e i 30mila euro); solo nel caso in cui ci sia il dolo la multa varia da 5 a 50 mila euro.
Ad ogni modo la votazione di oggi presenta anche, come qualcuno ha sottolineato, l’incognita “del lunedì”. Raramente i parlamentari vengono convocati il primo giorno della settimana per recarsi alle urne («in casi più importanti non è successo», ha sottolineato la Finocchiaro). E non è detto che gli schieramenti delle varie fazioni siano al completo. Questo potrebbe influire non poco sull’esito finale del voto, visto che lo scarto appare minimo. Poi bisogna considerare il possibile effetto dell’appello della Severino che si aggiunge a quello della Fieg, della Fnsi e al parere esplicitamente contrario espresso dal governo (in particolare dal sottosegretario alla Giustizia, Antonio Gullo, che ha sottolineato anch’egli profili di incostituzionalità e di incoerenza del ddl) la settimana scorsa.
Intanto Fieg (Federazione italiana editori e giornali) e Fnsi (Federazione nazionale stampa italiana) hanno lanciato un appello congiunto al Parlamento: «È una pessima legge. Il ddl diffamazione è sproporzionato, iniquo e solleva dubbi di incostituzionalità e di incoerenza con l’art. 110 del Codice penale e l’art. 57 relativo ai reati a mezzo stampa. Inoltre non bilancia il diritto del rispetto dell’onore dei cittadini con la libertà di stampa. Servono sanzioni equilibrate e l’obbligo di rettifiche documentate e riparatrici».
Fieg e Fnsi hanno rinviato lo sciopero inizialmente previsto per la giornata di oggi. Alla fine ha prevalso una linea più “morbida”. Tuttavia le due federazioni non hanno alcuna intenzione di mollare la presa. Infatti stasera, nei pressi del Pantheon, dalle 19 alle 21, è stata organizzata una fiaccolata «contro il bavaglio». Gli editori e i giornalisti stanno facendo fronte comune. Entrambe le categorie protestano contro le pene detentive e le multe elevate. Tali misure «influenzerebbero sull’intera attività delle imprese editoriali e incentiverebbero le cosiddette querele “temerarie”» è stato ribadito.
Al di là delle dichiarazioni di gruppo, ha espresso la sua opinione individuale il presidente della Fieg e dell’Ansa, Giulio Anselmi: «Il ddl è una “spada di Damocle” sull’informazione, è un’arma di pressione e ricatto. Serve del buon senso, non la voglia di rivincita. Sono contrario allo sciopero, che danneggerebbe solo il conto dei giornali. La lotta, però, è giusta. Per fortuna ci sono segnali positivi da alcuni parlamentari e dal ministro Severino».
Non è stato da meno il segretario della Fnsi, Franco Siddi: «Il ddl ne salva uno e ne colpisce cento. Anzi non salverà neanche quell’uno. Le leggi ad personam portano jella. Il testo attuale è squilibrato e incostituzionale. Ce lo critica anche l’Europa. Servirebbe ottimizzare l’obbligo già esistente della rettifica, magari con un Giurì, esterno all’Ordine, che ne decida entro 7 giorni le modalità».
Contro l’attuale ddl c’è da registrare anche la dichiarazione dell’Anso (Associazione nazionale stampa online): «Va inserito un emendamento che punisca le querele temerarie con la stessa cifra che si richiede al giornalista, una volta appurato che quest’ultimo è innocente».
Sembra dello stesso parere il ministro della Giustizia, Paola Severino: «Una multa e una rettifica adeguata, data con lo stesso rilievo della notizia diffamatoria, possono bastare. E non penso sia difficile arrivare a formulare una legge del genere». E, in effetti, Fnsi e Fieg si aspettano dalla Guardasigilli un’operazione di “moral suasion” sul Parlamento.
Intanto Sallusti ha ricevuto l’ordine di arresto domiciliare. È stato lo stesso attuale direttore de Il Giornale a scriverlo su Twitter. La notifica è arrivata dalla Procura di Milano. «In data odierna è stato notificato al condannato il decreto di sospensione dell’ordine di esecuzione per la carcerazione ricorrendo le condizioni della esecuzione presso il domicilio della pena detentiva di cui alla legge n.199/2010 (c.d. Legge svuota carceri) con contestuale trasmissione degli atti al magistrato di sorveglianza competente per la decisione», si legge nella nota firmata dal procuratore della Repubblica, Edmondo Bruti Liberati.
In altre parole il Tribunale, scavalcando la volontà dello stesso Sallusti di non chiedere le misure alternative, ha proposto al magistrato di sorveglianza gli arresti domiciliari nei confronti del giornalista lombardo. In effetti la legge n.199/2010 prevede una misura alternativa al carcere per i reati inferiori ai 18 mesi. Inoltre c’è da specificare che la Procura ha potuto applicare tale norma in quanto non ha contemplato il pericolo di fuga, e neanche ha ravvisato una sorta di pericolosità sociale da parte di Sallusti. E su questo punto vale la pena fare una precisazione. L’ex direttore di Libero ha affermato che la sua condanna a 14 mesi di reclusione è stata concepita proprio perché il Tribunale lo ha definito “pericoloso socialmente”. La ratio è stata questa: Sallusti, essendo un direttore di un giornale, potrebbe reiterare il reato. Quindi va applicata una pena detentiva.
Ora, la domanda nasce spontanea: si è trattata di una “svista” di Sallusti oppure di una marcia indietro da parte dei giudici? Il dubbio, inutile sottolinearlo, rimane tutto.
Fatto sta, ora tocca al magistrato di sorveglianza decidere, entro 5 giorni, se concedere i domiciliari (e l’indirizzo stabilito sarebbe quello della compagna, nonché parlamentare del Pdl, Daniela Santanché) al direttore del Giornale. In tal caso Sallusti potrebbe addirittura continuare a svolgere la sua professione. La condanna diventerebbe, così, solo un fatto “formale”.
Al di là di tutto, non ci si può non chiedere se la questione poteva essere tamponata con una modifica “minimale” necessaria e sufficiente per salvare Sallusti dal carcere “tout court”. La faccenda si sarebbe risolta in poche settimane. E invece il ddl diffamazione è in gestazione da due mesi.
«Hard cases makes bad law», ha scritto oggi Stefano Rodotà, noto giurista, sulla Repubblica, riprendendo un motto dei giudici inglesi dell‘800. L’affermazione tradotta significa che i casi estremi producono cattive leggi. O meglio, per dirla in parole ancora più semplici: la fretta è cattiva consigliera.
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