Legiferare bene è difficile. Farlo in fretta è quasi impossibile. Lo dimostra l’attività della commissione Giustizia al Senato. Il caso di Alessandro Sallusti, direttore del Giornale, condannato a 14 mesi di reclusione per diffamazione aggravata quando era alla guida di Libero, ha sollevato un polverone: bisogna rifare la legge. L’Italia non può permettersi di mandare in galera un giornalista. Che figuraccia con gli altri Stati civili! Tanto più se l’articolo incriminato è opera di un altro. In questo caso di Renato Farina, alias Dreyfus.
E allora giù con i lavori parlamentari. A Palazzo Madama si sta studiano un ddl bipartisan. I redattori sono Vannino Chiti, vicepresidente del Senato in quota Pd, e Maurizio Gasparri, capogruppo dei senatori del Pdl.
La mission principale è una sola: abolire la pena detentiva almeno per i reati di diffamazione. Sì, perché i giornalisti possono andare in galera anche per la pubblicazione arbitraria di atti relativi a procedimenti penali e per violazione della privacy. Mica solo per aver offeso qualcuno? Ma questo è un altro discorso.
Torniamo al caso specifico. Il carcere è attualmente contemplato sia dal codice penale che dalla legge sulla stampa del 1948.
Il ddl Chiti-Gasparri sostituirà la galera con sanzioni pecuniarie e disciplinari. Ma di che tipo? Ed è proprio sull’intensità di queste ultime che si sta scatenando il dibattito.
Iniziamo dalle sanzioni pecuniarie. Inizialmente era previsto un minimo di 30 mila euro. Per il limite massimo ci si affidava alla discrezione del giudice. Troppo. Si sarebbero rischiate sanzioni milionarie, forse anche più gravi e inibitorie della prigione.
Ecco, allora, giungere in soccorso un emendamento: il massimo della multa sarà di 50 mila euro. Tuttavia c’è sempre da considerare lo scorporo civile del processo, con relativo risarcimento del danno.
Si arriverebbe comunque a cifre importanti che potrebbero mettere “ko” una piccola e media realtà editoriale. Inoltre, carcere o non carcere, c’è sempre il rischio di fomentare “querele strumentali” e magari non del tutto giustificate per mettere a tacere voci scomode. Del tipo: «Io intanto ti querelo e ti costringo a difenderti, poi si vedrà».
Per quanto riguarda l’entità della sanzione, i fronti opposti sono due. Per i magistrati ci vogliono pene esemplari. Per le Associazioni dei Giornalisti le grosse multe sarebbero una intimidazione.
Poi ci sono le sanzioni disciplinari: sospensione e radiazione dall’Ordine. Gasparri avrebbe proposto la “cancellazione” per i recidivi. Ma così facendo, come ha sottolineato Vittorio Feltri, editorialista de Il Giornale, si rischierebbe una limitazione anti-costituzionale. Si priverebbe, cioè una persona della libertà di espressione. E quindi nulla di certo neanche su questo fronte.
Ma allora come proteggere i cittadini dalla diffamazione a mezzo stampa e nello stesso tempo salvaguardare la libertà di espressione? Come tutelare politici e magistrati (le principali vittime di diffamazione) da qualche parola di troppo che mette a repentaglio reputazione e onore e nello stesso tempo non intimidire i giornalisti?
Potrebbe bastare la rettifica? Di certo, con le attuale norme che la regolano, no. La correzione, per ammissione dello stesso Gasparri è spesso relegata in posizioni a dir poco secondarie. Quindi nessuno la legge mai. Ma con il nuovo ddl ci sarà un obbligo più stringente. Si parla di riparazione immediata: entro un massimo di 7 giorni dal reato. Inoltre la rettifica dovrà avere lo stesso risalto della notizia diffamante e, se ben fatta, potrebbe eliminare il rischio del processo. Ma chi deciderà in quel breve lasso di tempo, se c’è stato realmente un reato? Forse un giurì d’onore. Ma non è sicuro.
Di certo le nuove regole saranno estese a tutti i siti web di carattere editoriale (in altre parole i giornali on line) e alle testate radiotelevisive. E a controllare ogni contenuto dovrà essere il direttore responsabile. E tutti sanno, soprattutto gli stessi direttori, che è impossibile. L’omesso controllo, a questo punto, sarebbe garantito. Qualcosa, probabilmente, non va. Nonostante i 104 emendamenti presentati in commissione Giustizia. Tuttavia oggi stesso il ddl dovrebbe essere approvato in Senato. Per domani, poi, è previsto il passaggio alla Camera.
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