Ddl diffamazione affossato. Il Pdl spera di recuperare l’intesa. Pd, Fnsi e Fieg sono soddisfatti, ma attendono una riforma equilibrata. Viviane Reding, commissario europeo per la Giustizia: «Il Parlamento ha fatto bene a respingere l’emendamento. La libertà di stampa è competenza dell’Ue». Intanto Alessandro Sallusti, condannato a 14 mesi di reclusione per diffamazione, in bilico tra galera e domiciliari.
Ma facciamo un passo indietro.
Ieri il Senato ha bocciato con 123 voti contrari, 29 favorevoli e 9 astenuti (che a Palazzo Madama valgono come contrari) l’articolo 1 del ddl diffamazione. Esso prevedeva il carcere fino ad un anno per il giornalista autore dell’articolo diffamatorio e una multa, fino ad un massimo di 50 mila euro, per il direttore responsabile. La bocciatura del provvedimento è stata possibile grazie all’astensione del Pdl. Il partito di Via dell’Umiltà, grazie anche all’invito del suo capogruppo al Senato, Maurizio Gasparri, ha chiesto al Pd di ritirare il voto segreto. I democratici hanno rifiutato. L’anonimato è stato confermato dalla capogruppo del Pd, Anna Finocchiaro, in quanto considerato “un più sincero rivelatore”.
Il Pdl, quindi, si è astenuto dalla votazione per non sentirsi responsabile della carcerazione di Sallusti.
Ecco che il ddl è stato, probabilmente, definitivamente, affossato. Quindi Sallusti “dovrà vedersela” con la legge del 1948 (quella attualmente in vigore che nei propositi originari del Parlamento doveva essere rinnovata). Tale norma prevede, per chi commette il reato di diffamazione, il carcere fino a 6 anni insieme ad una multa fino a 5 mila euro; inoltre viene condannato, fino ad un terzo della pena, anche il direttore responsabile dell’omesso controllo. Si tratta di una norma più severa rispetto al ddl (ormai bocciato) in questione. Gasparri non ha rinunciato a sottolineare ciò: «Chi ha votato contro l’articolo 1 si è presa la responsabilità di mantenere il carcere fino a 6 anni».
E nel Pdl non mancano degli incoraggiamenti per ritornare a discutere. «Cerchiamo di recuperare l’intesa», hanno affermato Fabrizio Cicchitto e Angelino Alfano.
Filippo Berselli, presidente della commissione Giustizia del Pdl, nonché relatore unico del ddl (dopo le dimissioni della collega del Pd, Silvia Della Monica), ha invitato il governo ad agire per evitare «il danno di immagine». Come dire: un giornalista in galera non è una bella vetrina per un Paese democratico
Sembrano soddisfatti, invece, il Pd e le associazioni di categoria. La Finocchiaro ha dichiarato che nella prossima legislatura riproverà a creare un testo più equilibrato.
Hanno fatto eco con il Pd anche la Fnsi e la Fieg. Sia il sindacato dei giornalisti che l’associazione degli editori erano contro la bozza del ddl. Ma sono comunque preoccupati per una legge che, tutt’ora, minerebbe la libertà di stampa.
Riguardo alla bocciatura del ddl si è espressa anche Viviane Reding, il commissario europeo per la Giustizia. «Il Parlamento ha fatto bene a respingere l’emendamento. Inoltre si tratta [riferendosi alla libertà di stampa, ndr] di una questione di competenza degli Stati membri e l’Ue è ha favore dell’informazione libera», ha annunciato la Reding.
Ricordiamo che i contrari all’articolo 1 del ddl diffamazione non sono favorevoli alla legge attuale (la quale prevede fino a 6 anni di reclusione). Costoro vorrebbero “solo” eliminare il carcere sempre e comunque, sia per i direttori che per i giornalisti, nonché abbassare le sanzioni pecuniarie.
Fatto sta che ora a Sallusti dovrebbero aprirsi le porte di San Vittore. Ma potrebbe anche non essere così. Potrebbero subentrare le misure alternative nonostante il direttore del Giornale le abbia rifiutate. Tuttavia pare che Bruti Liberati, gliele concederà suo malgrado.
Ciò è possibile grazie alle legge n.199 del 2010, la cosiddetta “svuota carceri” di Angelino Alfano, ex ministro della Giustizia, poi modificata dall’attuale Guardasigilli, Paola Severino. Tale norma permetterebbe di assegnare “d’ufficio” i domiciliari al condannato a patto che siano rispettate delle condizioni: la pena deve essere inferiore a 18 mesi (quella di Sallusti è di 14); non deve esserci il rischio fuga; il domicilio di riferimento deve essere idoneo (Sallusti avrebbe scelto la casa della compagna, nonché parlamentare del Pdl, Daniela Santanché); e non ci deve essere pericolosità sociale. Per Edmondo Bruti Liberati, capo della Procura di Milano, le condizioni ci sono tutte (anche l’ultima, smentendo, dunque, la decisione della Cassazione). E inoltre, per il magistrato, non ci sarebbe differenza di efficacia deterrente tra la detenzione in carcere e presso il domicilio.
Quindi il capo della Procura di Milano ha passato gli atti al magistrato di sorveglianza. Quest’ultimo, che ha l’ultima parola, dovrebbe decidere tra 5 giorni. Tuttavia non sono rari dei ritardi.
Ma c’è un problema. I colleghi d’ufficio di Bruti Liberati non sono d’accordo col capo. Per loro non è possibile chiedere e concedere i domiciliari a Sallusti. I motivi sono molteplici. Innanzitutto l’ex direttore di Libero avrebbe già 6 condanne definitive. Poi è stato lo stesso Sallusti a non chiedere le misure alternative. Infine ci sarebbero anche dei profili di discriminazione nei confronti di coloro che non hanno ottenuto il suo stesso “trattamento”.
Per il pool di Bruti Liberati, assegnare i domiciliari non sarebbe corretto. Inoltre tale decisione rappresenterebbe un precedente pericoloso.
Ma, per ora sembra prevalere la ragione del “capo” che non ha esitato a fare un atto di forza.
Bruti Liberati ha argomentato la sua scelta affermando che il legislatore ha lasciato dei margini discrezionali su dei casi «residuali» (tra cui rientrerebbe anche quello di Sallusti). Inoltre ci sarebbe una lieve differenza tra la detenzione domiciliare e l’esecuzione della pena presso il domicilio. “Strani” cavilli legali!
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