Ddl Sallusti: trovato un accordo morbido sull’interdizione. Restano i dubbi sul voto segreto dell’aula di Palazzo Madama sull’articolo 1 che elimina il carcere per diffamazione.
La commissione Giustizia del Senato ha licenziato il ddl diffamazione, varato in seguito alla condanna per diffamazione a 14 mesi di reclusione inflitta all’ex direttore di Libero Alessandro Sallusti. Il provvedimento si era incagliato sulle entità della sanzioni disciplinari previste per i giornalisti. Ieri, dopo sette revisioni, è stato approvato l’emendamento dei senatori del Pdl Alberto Balboni e Franco Mugnai. Una sorta di “accordo mediano” sulla sospensione della professione. Testo alla mano, alla prima condanna non ci saranno sanzioni disciplinari. Alla seconda, però, il giudice potrà decidere se sospendere il giornalista da uno a sei mesi oppure no. Dalla terza recidiva in poi l’interdizione sarà invece obbligatoria: da un mese fino ad un anno.
Il licenziamento del provvedimento è stato reso possibile grazie alla “accondiscendenza” di una parte del Pd che ha rinunciato all’ostruzionismo (ricordiamo che, ufficialmente, i Democratici sono contrari all’attuale struttura del ddl). Infatti Silvia Della Monica, la co-relatrice della norma, nonché capogruppo del Pd in commissione, ha espresso parere favorevole. «Abbiamo ridotto il danno con l’interdizione “soft”. Ma il testo resta pessimo», ha dichiarato l’esponente del partito di Bersani.
Non sono mancate pesanti critiche dagli altri componenti la pattuglia democratica. Hanno votato contro Vincenzo Vita e Felice Casson. «Ho gli incubi. Sto male la notte. Non posso credere che stiamo approvando una legge così», ha tuonato Vita promettendo un secco “no” in Aula. «È un errore politico. Bisognava continuare a fare ostruzionismo», ha rilanciato, dal canto suo, Casson.
Gerardo D’Ambrosio si è astenuto (ma in Senato l’astensione vale come un voto contrario). Tuttavia l’ex magistrato non ha lesinato critiche al ddl: «Non si può fare una legge così». Astenuto anche Marco Perduca dei Radicali.
Fatto sta che oggi tocca all’Aula di Palazzo Madama arrivare ad una soluzione, possibilmente, definitiva. Visti gli schieramenti contrapposti (Pdl contro Pd) e le indefinite “frange trasversali” può succedere ancora di tutto.
Intanto pesa l’incognita del voto segreto sull’articolo 1 del ddl che rappresenta, di fatto, il cuore del provvedimento. In esso, infatti, sono presenti le sanzioni (da 5 a 50 mila euro), l’eliminazione del carcere per i reati di diffamazione e l’obbligo di rettifica estesa anche al web e all’editoria non periodica. Il voto segreto, chiesto e ottenuto giorni fa dal leader dell’Api, Francesco Rutelli, potrebbe essere confermato per la votazione a palazzo Madama. «Poi vediamo», ha commentato sibillino l’ex sindaco di Roma. La segretezza potrebbe complicare ulteriormente le cose camuffando eventuali dissidenze all’interno dei partiti.
Infatti sia in casa Pdl che Pd non mancano schieramenti trasversali. Lo conferma anche Filippo Berselli, capogruppo Pdl in commissione e co-relatore del ddl: «Una parte dei nostri è sensibile alla tutela del diffamato. Altri vogliono difendere i giornalisti, chiedendo sanzioni pecuniarie e disciplinari più lievi». Inoltre «se salta l’accordo sull’articolo 1 – precisa Berselli – salta tutto. La legge tornerà in commissione e lì morirà». E l’ipotesi non è peregrina. Per capirci: non mancano senatori che vorrebbero mantenere il carcere per i giornalisti. La loro opinione è che di fronte al danno all’onore e alla reputazione, che sono beni superiori, non si possa cancellare la pena detentiva.
In tutto ciò, fuori dal Senato, il mondo della stampa ha le idee chiare e uniformi sul ddl diffamazione. La Fnsi (Federazione nazionale della stampa) e buona parte dei direttori delle maggiori testate italiane vogliono fermare l’iter di una legge «liberticida, pessima, che ostacola e imbavaglia l’informazione e che non tutela nemmeno i diffamati».
Ai parlamentari il compito di smentire tali timori.
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