Londra è stata la pioniera della stampa free press ma nonostante la sua alta diffusione, la crisi investe anche la stampa all’ombra della corona.
La Free press ha da sempre occupato una posizione centrale nella fruizione dell’informazione, superando di gran lunga la diffusione della stampa a pagamento.
Il solo “Metro” , pioniere dei free press nato dieci anni fa, ha raggiunto e superato la diffusione del milione e 200 mila copie, quasi doppiando quella dello storico “Time”.
La distribuzione avviene all’uscita della metro dove vengono consegnate le copie gratuite, diffuse su circa 240 stazioni della metropolitana e grazie alla collaborazione di 700 addetti alla distribuzione.
Ma la presenza di numerose testate gratuite ha fatto sì che si creasse un meccanismo di concorrenza intestina che ha portato alla chiusura di due delle storiche testate: “London Paper” e “London Lite”.
Il London Lite, il primo quotidiano gratuito di Londra del pomeriggio, ha chiuso battenti nel 2009, salutando i lettori con il titolo di copertina: “Thank you and good Lite!”.
Destino analogo anche per il London Paper, allora pubblicato dalla News International di Rupert Murdoch ed ex principale rivale del London Lite.
Per le superstiti testate a pagamento la conversione alla free press è quasi un passo obbligato.
È quanto è accaduto all’Evening Standard che da giornale a pagamento si è trasformato in gratuito, con una distribuzione di 600mila copie.
Il fenomeno di calo della free press non è però un fenomeno circoscritto alla sola città britannica, negli Usa una dozzina di testate sono uscite dal mercato della stampa gratuita, seguono a ruota Spagna e Danimarca che arrancano con sofferenza.
Piet Bakker, il maggiore esperto mondiale di free press, ha per l’appunto registrato un calo sostanzioso delle tre testate iberiche a diffusione gratuita: “20 Minutes”, “Que!” e “Adn”.
Inversione di tendenza invece per il Canada dove la free press dà ancora buoni risultati.
A giudicare dai dati sembra che l’ultima zona franca per l’informazione sia rimasta quella della rete.
Arianna Esposito