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«Cultura senza mercato, va sostenuta. I tagli uccideranno la democrazia»

La cultura non ha mercato e per il mercato non si può sacrificare un bene primario come la libertà di stampa. Ne è convinto Francesco Emilio Borrelli, membro dell’esecutivo nazionale dei Verdi e da sempre impegnato in numerosissime battaglie civili sul territorio della regione Campania.
Il fondo per l’editoria è ridotto al lumicino e copre poco più del 20% del fabbisogno. Questo ha messo in ginocchio più di 200 testate giornalistiche no profit. Se la situazione resta questa, le testate saranno costrette a chiudere e in strada andranno circa 3mila giornalisti, senza contare l’indotto. Se si realizzasse questa ipotesi, l’informazione in Italia resterebbe solo nelle mani di quattro gruppi editoriali. Non ritiene che questo sia un rischio per la libertà di stampa?
«Sarebbe la fine della libertà di stampa e non solo. La libertà ha un costo non ci viene regalata e avere una informazione molto plurale è una necessità per una società veramente democratica e liberale nella quale gli uomini siano capaci di pensare con la propria testa».
Nove associazioni di categoria hanno lanciano una campagna per fare pressione sul Governo e approvare una nuova legge sull’editoria, una legge che preveda controlli rigidi, ma che garantisca i fondi necessari alla sopravvivenza dei giornali. Condivide questa iniziativa?
«Da sempre sostengo e condivido iniziative che permettano il più totale e ampio pluralismo nella nostra regione e nel paese. Di certo non è in questo settore che bisognerebbe tagliare ulteriormente. Per la mia formazione l’informazione, la cultura e l’insegnamento sono settori strategici e inviolabili».
È vero che in passato alcuni hanno approfittato di questi fondi, ma questo sta diventando per una certa politica l’alibi per cancellare una voce di spesa che garantisce un diritto sancito dalla Costituzione. Lo stesso Presidente della Repubblica ha chiarito la necessità di tutelare l’autonomia dell’informazione.
«I furbetti, gli imbroglioni, i parassiti li troviamo in ogni categoria. Però non vorrei che con questa scusa venissero privati i cittadini di avere il pieno diritto ad una informazione ampia e trasversale. Penso inoltre che il 99% dei giornalisti che oggi lavorano per i grandi giornali si sono formati in testate minori dove hanno imparato il mestiere e poi sono entrati nei gruppi editoriali maggiori. I giornali più piccoli sono delle “palestre” fondamentali e indispensabili dove si formano quelle che un giorno diventeranno le grandi firme del nostro paese. Guai a chiuderli».
La carta fondamentale dei diritti dell’Ue impegna ogni Paese a promuovere e garantire la libertà di espressione e di informazione. In altri Paesi dell’Unione questi finanziamenti vengono chiamati “fondi per la libertà di stampa”. In Italia non è così. Come se lo spiega?
«Sono fiducioso nel fatto che alla fine prevarrà il buon senso e questi fondi saranno garantiti ed assegnati in modo attento e più oculato rispetto al passato. Guai se ciò non avvenisse».
Secondo una ricerca dell’Università di Oxford l’Italia nel 2014 spende solo 30 cent procapite per la libertà di stampa. In Francia si spendono 18,77 euro a testa, in Gran Bretagna 11,68 euro, in Germania 6,51 euro. In Europa siamo ultimi.
«Al sud i dati sono ancora peggiori, direi drammatici. Non è un caso che anche il livello di istruzione si sta abbassando inesorabilmente nel nostro paese. Bisogna assolutamente invertire questo trend prima che sia troppo tardi».
Tutta l’informazione locale, quella dei piccoli e dei grandi Comuni, è nelle mani delle società cooperative che vivono grazie al fondo pubblico. Senza questi soldi in Campania resterebbe solo il Mattino. Non le sembra una prospettiva inquietante?
«Premetto che io leggo tutti i quotidiani che escono a Napoli e trovo sempre notizie interessanti e originali su ogni testata. Il pericolo vero è che a furia di ridurre il pluralismo nell’informazione non resterà più nulla, neanche il Mattino. Al sud poi la desertificazione culturale con il passare degli anni ci ridurrebbe in una sorta di colonia. Un futuro agghiacciante».
Molti ritengono che la carta stampata debba scomparire perché non ha un mercato e che si debba puntare esclusivamente sul digitale. Questo significherebbe escludere dalla possibilità di scegliere e di informarsi tutta quella parte di popolazione che non ha accesso alla rete.
«Secondo questo ragionamento bisognerebbe far scomparire quasi tutti i teatri, chiudere gli istituti di cultura, smettere la ricerca. Sono tutte realtà che non hanno alcun mercato e non producono ricchezza. Mi sembra una idea pre medioevale. Infatti nel Medioevo i mecenati pagavano uomini di cultura per studiare e stare alla corte senza produrre nulla ma solo per apprendere e migliorarsi. Adesso invece si pensa a eliminare un pezzo fondamentale dell’informazione sostituendolo solo con internet che è ancora uno strumento ignoto a una parte consistente della popolazione. Lasciamo che le cose avvengano gradualmente ma non priviamo gli italiani di uno strumento fondamentale che gli permette di approfondire le notizie e formarsi una propria opinione».
Firmerà la petizione su change.org?
«Ma certo. Senza alcun dubbio e la farò anche firmare».
dal Roma del 27 marzo 2015

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