Il quotidiano della città di Taranto, in un panorama di speranza e crescita per i media, sarebbe ripartito il giorno, per mano degli stessi giornalisti e poligrafici che lo hanno scritto e preparato sino al 31 marzo oppure per volontà di un editore. L’anno da poco chiuso è stato invece quello in cui i giornali e il giornalismo italiano sono stati colpiti dalla peggiore catastrofe dal dopoguerra in poi. Lo sapevo, lo sapevamo tutti. Ma adesso ne abbiamo la convinzione, quando scrivo queste righe da Chianciano (Si), dalla sala stampa del 27esimo congresso della Fnsi.
Nel 2011 nel 26esimo congresso che si tenne a Bergamo, solo una minima parte dei circa 500 giornalisti presenti non era stabilizzato o usufruiva di ammortizzatori sociali. Nel 2015 quella minima parte è diventata un’ampia fetta e nel 2019 sarà la maggioranza se non cambierà qualcosa. Il mondo muta in fretta ovunque, chi era ieri un colosso invincibile adesso è di sabbia, preoccupato e impaurito.
Anche McDonald’s è in profonda crisi. Chi ci avrebbe scommesso solo tre anni fa? Quando arriva la tempesta, gli ufficiali guardano verso il capitano è chiedono ordini. Il consiglio di amministrazione della multinazionale Americana ha fatto lo stesso. Il presidente e amministratore delegato Don Tompson ha risposto “Cambieremo le cose radicalmente, ma abbiamo bisogno di un po’ di tempo”. Tompson – è notizia del 30 gennaio apparsa tra l’altro sul Corriere della Sera – è stato messo alla porta pochi giorni dopo. Di tempo non ce n’è nel mondo del food. Ce n’è ancora meno in quello dell’informazione.
Non c’è un solo motivo alla base della chiusura del Corriere del Giorno di Puglia e Lucania e di molte altre testate in cooperativa italiane.
I motivi della crisi del Corriere del Giorno di Puglia e Lucania
Il 31 marzo con il titolo “Arrivederci Taranto”, “la notizia che non avremmo mai voluto dare”, il Corriere del Giorno di Taranto, quotidiano storico del quale sono stato prima collaboratore, poi ancora redattore e infine direttore, ha stampato il suo ultimo numero. Il tentativo di ripartire usufruendo della cosiddetta legge “salva manifesto” (l. 103/2012) non è riuscito: da un canto la paura da parte degli ex soci di ricominciare in un clima ostile socialmente ed economicamente ostile per l’informazione e i giornalisti, dall’altra le divisioni interne accumulate in un decennio durate il quale c’è stata poco la capacità di mischiarsi, di creare una linea editoriale criticabile ma condivisibile e comune. Chi ha detenuto la maggioranza risicata ha comandato senza sensibilità alle (a dir il vero poche) proposte che venivano dall’opposizione. Una frattura che è divenuta spaccatura nel momento in cui il Cda ha chiesto la rinuncia agli stipendi, cosa che è avvenuta, promettendo azioni di ripresa che non sono avvenute.
Il ruolo dello Stato nella morte dell’editoria
Durante la Prima guerra mondiale i medici chiudevano i feriti che giungevano dal fronte in una stanza senza fornire loro cure, penicillina. Chi passava la notte il giorno dopo riceveva assistenza. Era un modo per risparmiare sui medicinali che scarseggiavano. La Presidenza del consiglio dei ministri ha fatto la stessa cosa, ha ridotto drasticamente le risorse per i giornali in cooperativa previste dalla 416/81 da un giorno all’altro. Di più, ha ridotto anche l’importo di somme già assegnate, portate già in bilancio dalle cooperative, così è stato nel 2010 e nel 2011. Un colpo ferale per le società cooperative vere, quelle che non nascondevano dietro una compagine sociale formata da mogli, amichetti, figli e concubine del solito editore volpone.
Il mercato
Fare informazione nel Tarantino è difficile normalmente, figuriamoci ai tempi della crisi. Si legge poco, pochissimo se si fa il confronto con le province del Nord. Nel 2012 in edicola nella provincia ionica venivano venduti poco più di 5mila quotidiani nel giorno medio. Non serve essere degli analisti per capire che è un numero di copie così esiguo non può sostenere un’operazione editoriale seria, che rispetti le regole del contratto.
La concorrenza sleale
E’ semplice fare informazione senza rispettare le regole. Gli ingredienti sono pochi: un editore con velleità politiche o che non è riuscito con modi diversi a farsi realizzare una rotonda davanti l’ingresso della sua fabrichetta o della sua concessionaria; un sito internet; nel migliore dei casi un budget di 2000 euro l’anno; due o tre giornalisti disposti a fare volontariato in cambio di visibilità. Questo è il modello di giornalismo che si va definendo in Italia, editori improvvisati e giornalisti che non potendo vivere del proprio lavoro, cercheranno notizie come passatempo o – più pericolosamente – cercheranno il loro profitto dall’utilizzo delle notizie che daranno.
Il presidente Pertini, spiegò bene quale fosse il giogo della fame: “Mi dica, in coscienza, lei può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli e educarli? Questo non è un uomo libero. Sarà libero di bestemmiare, di imprecare, ma questa non è libertà. La libertà senza giustizia sociale è una conquista vana”. Pertini ha ragione, tremendamente, oggi ne abbiamo le prove osservando la molteplicità e la qualità dell’informazione. Ogni paesino ha almeno due siti internet che dicono la propria, Taranto ne ha quasi dieci. È chiaro che in questo ambiente non è possibile fare informazione rispettando le regole, ammenoché non si abbia un editore disposto a perdere milioni di euro ogni anno.
Le banche
Chi ha maggiormente beneficiato del contributo pubblico per le cooperative di giornalisti sono state le banche. Il meccanismo farraginoso del diritto soggettivo, in altre parole a settembre si conosceva già quanto si sarebbe ricevuto di contributo verso dicembre dell’anno successivo, permetteva alla cooperativa di chiedere un’anticipazione alla banca. Soldi che servivano a pagare la tipografia e i fornitori e, sebbene certi, prestati dagli istituti a un tasso di interesse alto, assolutamente svantaggioso per le cooperative. Quindi vantaggiosissimo per le banche. “O mangi questa minestra o ti butti dalla finestra”, era la formula. Ma al peggio non c’è mai fine e ora resta solo la finestra: il decreto Tremonti 112/2008 ha soppresso il carattere di diritto soggettivo dei contributi pubblici all’editoria e ha stabilito che i fondi vengono erogati in base all’andamento dei conti dello Stato. Ergo, fine delle anticipazioni, fine dell’ossigeno.
La speranza e alcune considerazioni personali
Ho ricevuto il timone del Corriere del Giorno di Puglia e Lucania del commissario Mauro Damiani un mese e mezzo dopo il 28 ottobre 2013, giorno in cui la coop. 19 luglio è entrata in liquidazione coatta amministrativa, nel momento in cui la nave era già in rotta di collisione con lo scoglio. Un’assunzione di responsabilità che ho pagata cara, ma bisognava tentare di virare, o, in alternativa, mettere in salvo il maggior numero di colleghi, cosa che ho fatto, riparando una cassa integrazione chiesta nel 2013 che il ministero del Lavoro aveva revocato per un errore a suo tempo nella presentazione e, poi, pianificando la mobilità. Ho cercato di cambiare rotta dando l’esempio e non esprimendo le mie opinioni, consapevole del mio ruolo di cane da guardia della democrazia, di devoto servitore della libertà di espressione e del diritto dei cittadini di essere informati in modo corretto, di pigna nel deretano dei potenti. Può sembrare un’autocelebrazione, se le mie parole danno questo sentore me ne scuso, è, nel mio intento, invece, una premessa alle prossime parole che scriverò.
Il futuro sta in una maggiore responsabilità da parte di tutti, in un patto generazionale e in una maggiore giustizia sociale. Mai più né giornalisti da 100mila euro l’anno che a 65 anni chiedono con arroganza di restare in redazione per altri 10 anni togliendo posti di lavoro ai più giovani, né neo colleghi che fanno volontariato barattando la loro libertà di espressione 100 euro al mese.
Solo trasformando quella del giornalista in una professione dove chi lavora viene retribuito, si potrà ricominciare a parlare di categoria di dignità professionale.
Solo quando lo Stato aiuterà unicamente le vere cooperative previo ispezioni e controlli rigidi, i tribunali puniranno chi ruba il lavoro giornalistico come chi ruba i profumi nei supermercati, l’esperienza del fare informazione in cooperativa con altri colleghi (on-line o cartaceo, oggi possiamo scegliere) sarà la grande bellezza di questo mestiere.
Gianni Svaldi (direttore responsabile del Corriere del Giorno di Puglia e Lucania)
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