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Crisi editoria. Siamo davvero alla resa dei conti?

E’ proprio così. Siamo arrivata alla resa dei conti che va oltre la crisi che il mondo dell’editoria sta attraversando. Oggi questo ambiente  si trova a fare l’ analisi di un mondo – il proprio – che non ha mai voluto soppesare a dovere e che oggi sotto numerose forme gli si rivolta contro.

L’occasione è data oltre che dalla stretta che il Governo ha deciso di imporre in merito ai finanziamenti, alla poca propensione degli italiani a leggere giornali. Non si legge e di conseguenza non si vende. Questo ha fatto in modo che il settore collassasse, fino a far capire a tutti gli attori della filiera “l’arretratezza del settore” (Sottosegretario Legnini audizione Commissione Cultura della Camera).

Nonostante ciò, pochi hanno percepito che di questo passo il dimezzamento dei punti vendita sul territorio italiano sarà ormai prossimo e che – ancora peggio – alcuni territori, resteranno privi di punti vendita. Possiamo sopportarlo? Dopo un attimo di smarrimento iniziale, gli editori hanno deciso di abbassare le tirature cercando di raggiungere comunque una diffusione pari a quella di prima per assicurarsi i contratti pubblicitari. Questo errore sta costando molto caro agli editori, che impegnati pienamente su di un altro settore, si vedono sfuggire di mano il controllo distributivo della pura editoria da parte dei DL (Distributori Locali) i quali si stanno imponendo sulla rete con logiche a dir poco soffocanti e di conseguenza intollerabili. Questo un punto da non sottovalutare da parte degli Organi Amministrativi o da parte di coloro che sotto intendono il settore. E se fossi editore farei uno stop d’imperio.

Il secondo punto è la scarsa propensione all’informazione da parte delle famiglie italiane, che tendono sempre ed ovunque a demandare fatti, azioni e opinioni a terzi. Su questo credo fermamente che lo Stato in quanto detentore degli indirizzi istruttivi e culturali di base, debba fare la parte del leone e non rendersene indifferente. L’informazione è importante perché aiuta a partecipare alla vita del paese e a capire la realtà del quotidiano in cui viviamo. La scuola è la prima fonte a cui abbeverarsi.

Comunque non solo i quotidiani perdono lettori, ma anche altri tipi di pubblicazioni si stanno avviando sempre più al minimo storico, senza che vi sia la minima sensazione di ripresa. Pubblicazioni anche di un certo tenore culturale e formativo che in alcuni casi vanno ben oltre la semplice informazione, saranno costrette a sparire dalle vendite e per ridursi al naturale abbonato. La tiratura limitata diretta esclusivamente al singolo, se con numeri discreti di copie, permetterà di sopravvivenza ancora per qualche tempo. Da parte mia per i ruoli che mi competono nel settore, senza una radicale riforma, il settore non avrà via di scampo se non quello di divenire detentore di un bene destinato a pochi. Con queste premesse il comparto, vecchio di suo, sarà costretto ad abdicare ad altri settori che ingloberanno alle loro principali attività, anche quotidiani e periodici. Chiaramente non sarà come avere uno o più punti dedicati al singolo settore. Come permettere agli odierni punti vendita di sopravvivere? Non più solo quotidiani e periodici. Punti vendita rivoluzionati e resi appetibili non solo alla clientela ma ad altri ulteriori investitori. Sarà importante creare rete, diversificare le vendite, richiedere al Governo o alla Regioni l’assegnazione di nuovi servizi, pretendere un inquadramento legislativo opportuno ( la vendita di giornali è un servizio) e altro ancora. Anche per i chioschi la rivoluzione è necessaria. Ampliamento, urbanistica, impatti ambientali, accessi…Costi dei manufatti, agevolazioni economiche, Tosap, Imu…Pianificazioni territoriali. In poche parole è necessaria una rivoluzione del sistema, dove vi sia anche una forte partecipazione politica, ma soprattutto vi è la necessità di un grande potere d’ascolto della stessa.

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