Vogliono soffocare il manifesto. E proprio in un momento fondamentale della nostra storia: l’acquisto della testata. Vogliono cancellare una voce, storica, dell’informazione in Italia. E insieme a noi altre decine e decine di testate giornalistiche, di carta ma anche radio e tv. E questo grazie a una spending review che nel nostro settore è applicata in modo spietato. Una riduzione dei rimborsi per l’editoria era attesa. Ma non in queste dimensioni e soprattutto non con un taglio retroattivo. Non fino al punto di configurarsi come una vera e propria censura politica, come una ghigliottina per tante voci dell’informazione. E invece, se Palazzo Chigi non tornerà sui suoi passi, i peggiori timori si avvereranno: decapitando il fondo dell’editoria, il governo intonerà il de profundis per migliaia di giornalisti, impiegati, operai. Si può discutere su un fondo per l’editoria dato a macchia d’olio, si può perfino eliminare, anche se noi, e non solo noi, abbiamo molti dubbi. Però non si può agire così vigliaccamente. Perché viene dato un colpo basso, proditorio, visto che il taglio si riferisce ai rimborsi per il 2013, appostati nei bilanci già chiusi l’anno scorso. Di conseguenza tantissime testate dovranno portare i libri in tribunale e dichiarare fallimento. È una vera e propria decapitazione di una parte dell’informazione italiana. Si tratta della cancellazione di molte voci con storie diverse ma tutte espressione di una pluralità di punti di vista politici, culturali, sociali destinati a scomparire. Non siamo così miopi da non vedere e così stolti da non sapere che il fondo per l’editoria è stato in anni passati anche un pozzo di denaro dove attingere soldi, per far nascere iniziative editoriali finte, di facciata, utilizzate per altri fini e per arricchire le tasche di faccendieri e imprenditori senza scrupoli. Perché gli editori puri, in Italia, sono una rarità. Anche dietro la voce «cooperative» si sono consumate truffe e ruberie. Però adesso si butta via il bambino con l’acqua sporca. Con due immediate conseguenze: un forte appannamento nel mondo dell’informazione e il licenziamento di centinaia di lavoratori del settore (tipografie, distribuzioni, cartiere) che andranno a ingrossare le già enormi percentuali della disoccupazione. C’è una logica — antidemocratica — in questa scelta del governo che sceglie di chiudere decine di testate in un colpo solo. È invece più difficile da comprendere e da spiegare una decisione presa all’insegna del risparmio delle risorse pubbliche, quando si sa che ne dovranno essere impiegate molte ma molte di più per fronteggiare gli ammortizzatori sociali (mobilità, cassa integrazione, pensionamenti) per i licenziamenti e gli stati di crisi provocati dai tagli. Per farvi capire l’entità del colpo, basta il nostro caso: nel 2012 i liquidatori, che «curavano» le casse del manifesto, hanno ricevuto 2 milioni e 700 mila euro di rimborsi. Per il 2013 alla nostra nuova cooperativa forse ne arriveranno 600mila. Dunque siamo di fronte non già a un micidiale dimezzamento ma alla sparizione di oltre tre quarti dell’intero ammontare per l’anno passato. E questo è un aspetto sul quale vogliamo insistere. Il governo agisce in modo davvero scorretto, perché interviene sul passato, retroattivamente, su rimborsi che centinaia e centinaia di lavoratori aspettano da tempo con ansia, perché in tanti sono senza stipendio. La violenza e la vigliaccheria della decisione è senza precedenti. Per noi, se le cose non cambiano, il contributo falcidiato sarà appena sufficiente a coprire piccola parte dei costi legittimamente già sostenuti. Perciò l’improvviso e inaspettato abbattimento delle risorse pubbliche, proprio mentre siamo impegnati nell’impresa di acquistare la testata, è per «il manifesto» un colpo durissimo. Non vogliamo sospettare che il nostro giornale sia il boccone più ghiotto di questa operazione distruttiva dell’informazione — quale altro giornale nazionale dà tanto spazio alle voci sindacali, politiche, sociali eculturali alternative? — ma come suggeriva un antico navigatore della politica italiana «a sospettare si fa peccato, ma spesso ci si indovina». Eliminare un giornale nazionale che non ama il presidente del consiglio e soprattutto questo governo centro-sinistra-destra, che dopo la chiusura dell’Unità è l’unico a dare voce al malessere del dissenso interno al Pd, che combatte sul fronte dei diritti del lavoro, che considera il liberismo renziano l’ultimo stadio della crisi italiana anziché la sua soluzione, può rappresentare una tentazione, un desiderio non detto.
Norma Rangeri. Articolo completo al link: http://ilmanifesto.info/la-ghigliottina-di-renzi/
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