CRISI EDITORIA. IL PUNTO DI DE ANGELIS (PDL)

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“Il taglio al fondo dell’editoria è una questione annosa affrontata negli anni passati con progressivi irrigidimenti dei termini di concessioni voluti anche dagli editori stessi, perché sicuramente c’erano degli sprechi e alcuni accedevano ai fondi senza poi dare garanzie reali né di rappresentanza di idee né di mantenimento dell’occupazione”. Così Marcello De Angelis, direttore del quotidiano Il Secolo d’Italia e deputato del Popolo delle Libertà, commenta con l’AgenParl i dossier caldi dell’editoria per il 2012: riforma dei contributi pubblici all’editoria, possibile abolizione dell’ordine dei giornalisti pubblicisti e frequenze del digitale terrestre. “Nell’ultima parte – prosegue De Angelis – nella concessione dei fondi a testate che già da anni le percepivano e che dovevano prendere l’ultima tranche del 2011, c’è stato un elemento vessatorio innovativo, un’applicazione retroattiva di alcune regole che sono state modificate: è stato sospeso il finanziamento ad un numero cospicuo di testate con – secondo alcuni – l’intento di creare problemi con i fidi bancari e di conseguenza assottigliare ancora di più la platea. La maggior parte delle testate che percepivano il fondo avevano questa sorta di non ufficiale diritto soggettivo, perché c’era una consuetidine che era una sorta di garanzia bancaria: le banche ti permettevano di sforare il fido o comunque di pagare gli stipendi anche se in realtà tu non davi le garanzie. Per la prima volta la tranche che arrivava normalmente a dicembre è stata bloccata per parecchie testate con la scusa di ‘approfondimenti’ che sono stati demandati all’Avvocatura dello Stato che si prenderà un tempo indeterminato per dare una risposta. Di conseguenza questi finanziamenti sono bloccati per due, tre, quattro mesi, cioè quanto basta perché le banche, non rientrando nel fido, ti spennino e ti mandino in bancarotta”.

“Per quanto riguarda l’abolizione del’albo dei pubblicisti – continua il direttore del Secolo – da giornalista professionista trovo un intervento manifesto perché va a colpire un albo che è già una sorta di anomalia rispetto all’Ordine e non intacca minimamente le regole durissime di accesso alla categoria che invece sono quelle che si potrebbero liberalizzare. Se uno volesse veramente liberalizzare, andrebbe sciolto l’albo dei professionisti. Non quello dei pubblicisti. Paradossalmente, dovremmo essere tutti equiparati ai pubblicisti piuttosto che il contrario. E’ la linea sindacale di preservare quelli che hanno già i diritti acquisiti e di impedire a coloro che li vorrebbero acquisire di acquisirli. In Francia, una situazione lavorativa che conosco, non esiste l’Ordine dei giornalisti, esiste la Carte de Presse che è legata ad un contratto con una qualsiasi testata giornalistica. Nel momento in cui si ha un contratto si ha un equivalente tesserino con tutto ciò che ne consegue pro tempore”.

“C’è un meccanismo che è simile a quello dei tassinari romani – conclude De Angelis passando alla questione delle frequenze digitali – Un meccanismo di acquisizione e subappalto delle frequenze che soffoca ogni tipo di concorrenza. Le emittenti che trasmettono sul digitale nel momento stesso in cui partono hanno un 50 per cento delle spese di mantenimento mensili che vanno all’affitto della frequenze, questo non aiuta i piccoli e favorisce non solo i grandi ma anche quelli che sono arrivati per primi, che hanno preso dieci frequenze, ne usano una e altre nove ne affittano. La frequenza non può essere oggetto di lucro”.

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