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C’era una volta la Free Press. Il caso DNews

Sono passati poco più di due anni da quando Mario Farina, editore anche di Metro, cedette una delle sue due freepress alla Emotional Advertising, concessionaria di pubblicità dello stesso giornale. Farina aveva creato Dnews nel 2008 e pubblicava due edizioni, a Roma e Milano, con una complessiva tiratura di circa 50 mila copie. Erano 19 i redattori che vi lavorano, mentre altri quattro avevano lasciato il giornale dopo la chiusura delle sedi di Bergamo e Verona e la riduzione della foliazione per far fronte al calo di pubblicità. Il direttore era Stefano Pacifici, già alla guida de Il Romanista. Pacifici aveva sostituito, nel maggio 2010, Antonio Cipriani il quale, insieme con il fratello Gianni, aveva fondato la freepress dopo aver lasciato, nel 2008, la guida di E-Polis, giornale poi fallito nel2009. All’epoca i giornalisti di Dnwes lavoravano a turno, per un contratto di solidarietà giunto ormai al terzo anno. Farina garantì al Comitato di redazione la prosecuzione del regime fino al 31 agosto 2012, data approvata dal ministero del Lavoro per l’ammortizzatore sociale, e ha aggiunto di aver scelto, tra diversi possibili acquirenti, proprio Emotional in quanto si trattava di una società intenzionata a potenziare il quotidiano in sofferenza. Farina in un primo momento per la pubblicità su Dnews si era  rivolto a Visibilia, di Daniela Santanché, per poi accordarsi, nel 2010, con Emotional Advertising. La società di Fabrizio Verdolin, dal canto suo, è nata nel 2008 e curava tra l’altro la raccolta pubblicitaria ed anche la pubblicazione della rivista di bordo di Trenitalia La Freccia e di In Fly, il magazine della società Adr Aeroporti di Roma
La possibilità della chiusura delle attività editoriali non era stata neppure ventilata nel corso della verifica sull´andamento del piano di salvataggio dell’azienda. I rappresentanti di Mag editoriale, avevano avanzato l’ipotesi che i giornalisti di DNews costituissero una cooperativa per rilevare la testata, rinunciando a garanzie contrattuali e retribuzioni, in cambio di un non meglio precisato affiancamento nella gestione del quotidiano da parte della Emotional: una soluzione respinta all’unanimità dalla redazione. La decisione improvvisa dell´Azienda di staccare la spina a un quotidiano presente sul mercato da oltre 5 anni è apparsa dunque come la reazione scomposta e ricattatoria per il “no” dei giornalisti all´inaccettabile proposta della società. Si va avanti fino al Giugno 2013 quando purtroppo DNews chiude i battenti e tutto il personale va in ferie forzate. All’improvviso. Una decisione che ha sorprese tutti e che fu denunciata dal Comitato di redazione, in accordo e pienamente sostenuto da Fnsi, Associazione romana della stampa e Associazione lombarda dei giornalisti. Il comportamento della Mag editoriale fu ritenuto scorretto e ritenuto inaccettabile perché “comunicata al solo Cdr senza alcun preavviso, in palese violazione anche dell’articolo 34 del Cnlg”. L’iniziativa unilaterale dell’azienda arrivò a nemmeno un anno e mezzo dall’acquisto dell’intera quota della Mag editoriale dal gruppo di Mario Farina e con l’impegno ufficiale da parte del nuovo socio unico Emotional advertising, di iniziative di rilancio e sostegno di DNews, rese possibili anche grazie al fatto che la stessa società gestiva anche la raccolta pubblicitaria e con il contributo di sacrificio economico della redazione, che accettò un nuovo e pesante contratto di solidarietà  che prevedeva anche incentivi per l’uscita di singoli giornalisti, mai effettivamente pagati dall’azienda.
La free press come modello spostava il target dal lettore all’inserzionista, ti regalo il giornale, si, ma poi devi accettare di essere trattato come un telespettatore. Al tempo di Internet, della notizia gratuita, sembrava un sistema vincente; non lo è stato. Probabilmente la ragione è semplice, la lettura è e rimane un piacere, occorre dedicargli tempo, attenzione. Ed allora forse il problema non è il costo del prodotto, per quanto la crisi faccia sentire forte l’aria di tempesta, ma la qualità dei contenuti. I free press funzionavano a livello locale, ma erano piccole, piccolissime iniziative, del tutto destrutturate, lontane anni luce dal mondo del contratto nazionale; e erano editi da giovani che stanchi dei soliti piagnistei dei tanti, troppi giornalisti disoccupati, figli delle ristrutturazioni, delle chiusure e sempre più spesso di costose quanto improduttive scuole di giornalismo, che nella vita hanno deciso di sentirsi precari. Ma non erano aziende editoriali ma iniziative artigianali, in cui uno fa tutto, e mettendoci del suo cerca di farlo bene. Ma non è la riscossa della free press, è solo l’effetto dell’imbuto del sistema distributivo. Ma il vero problema rimane il lettore, che va rimesso al centro dell’attenzione.

 

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