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Il Senato, premesso che: diversi studi dimostrano come un ricorso più diffuso ai pagamenti elettronici permetterebbe, da un lato, attraverso la tracciabilità delle transazioni, di coadiuvare le azioni di contrasto all’evasione fiscale ed al riciclaggio di denaro, di compliance fiscale, favorendo quindi l’emersione di ricchezza sommersa, e, dall’altro, di ridurre il costo di gestione del denaro contante a tutto vantaggio dell’economia italiana, aspetto, quest’ultimo, spesso sottovalutato dagli esercenti stessi, ma che, secondo dati diffusi dalla Banca d’Italia, sfiorerebbe, anche a causa dell’eccessiva rigidità della filiera del trasporto e della contazione del denaro, gli 8 miliardi di euro all’anno, che corrispondono allo 0,5 per cento del PIL, il 49 per cento dei quali sarebbe sostenuto da banche ed infrastrutture per l’offerta dei servizi di pagamento, mentre il restante 51 per cento sarebbe a carico delle imprese alcune direttive europee e norme interne spingono in questa direzione, nella convinzione che tutto il sistema economico e finanziario tragga vantaggi da questa innovazione: al fine di dare un impulso importante alla maturazione del mercato italiano dei pagamenti elettronici ed avvicinarlo così agli standard europei, nell’ultimo anno Governo e Parlamento hanno varato, accanto ad una serie di misure restrittive sull’uso del denaro contante e dei mezzi di pagamento al portatore e di definizione dell’ambito di applicazione dei pagamenti mediante carte di debito, anche una disposizione per la quale, dal 30 giugno 2014, diviene operativo l’obbligo di accettare da privati pagamenti per acquisti di prodotti e prestazioni di servizi di importo superiore a 30 euro a mezzo del cosiddetto POS (point of sale); inoltre, nell’ambito di una regolamentazione unitaria della disciplina dei pagamenti effettuati a mezzo di strumenti elettronici da armonizzare con quella più ampia della trasparenza del costo delle commissioni, è stato emanato un decreto interministeriale (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 75 del 31 marzo 2014) recante il «Regolamento sulle commissioni applicate alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento presso i gestori di carburante», in vigore dal 29 luglio 2014 che cancella la gratuità prevista, sia per l’acquirente sia per il venditore, delle transazioni regolate con carte di pagamento (quali bancomat o carte di credito) presso gli impianti di distribuzione di carburante, ponendo così fine ad una previsione equivoca, molto spesso ignorata dagli istituti bancari o volutamente disattesa dagli stessi per trasferire sul sistema altri costi, come ad esempio quelle dei canoni per il noleggio dei terminali POS invero, il regime di gratuità aveva un limite temporale, essendo vincolato all’applicazione dell’articolo 12, commi 9 e 10, del decreto-legge n. 201 del 2011 (cosiddetto salva Italia), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, che affidava all’Abi, a Poste italiane, al consorzio bancomat, alle associazioni dei prestatori dei servizi di pagamento ed alle imprese che gestiscono i circuiti di pagamento, la definizione, peraltro mai completata, delle regole per l’applicazione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, tenuto conto della necessità di assicurare trasparenza e chiarezza dei costi, nonché di promuovere l’efficienza economica nel rispetto delle regole di concorrenza; la categoria dei benzinai si è però opposta a tale soluzione e la stessa VI Commissione permanente (Finanze) della Camera ha approvato una risoluzione (7-00378) che impegna il Governo ad intervenire per garantire la gratuità delle transazioni POS; un’altra categoria che, al pari di quella dei gestori di carburante manifesta l’esigenza della gratuità delle transazioni al fine di consentire di poter offrire il servizio di pagamento con moneta elettronica ai cittadini per l’acquisto della carta stampata è quella delle vendite autorizzate di giornali, settore fortemente colpito dalla crisi economica in cui le marginalità di guadagno sono vincolate e concretizzate in funzione delle copie vendute che a livello nazionale ad oggi registrano cali significativi di oltre il 20 per cento. In tale settore è impensabile poter applicare dei costi sulle transazioni che nella maggior parte dei casi ruotano attorno ad un range da 1,30 euro (costo medio di un quotidiano) a 5 euro su punti vendita che svolgono la funzione sociale di garantire il diritto all’informazione ai cittadini prevista dalla Costituzione. Pertanto ai fini di salvaguardare tale categoria e nell’interesse dell’intera filiera editoriale di incrementare gli strumenti a favore della stessa ai fini di incrementare le vendite contrastando la crisi in atto, si ritiene debba anch’essa rientrare nell’impegno del Governo per garantire la gratuità di tali transazioni. un’altra categoria che si oppone all’applicazione della commissione sulle transazioni è quella dei tabaccai, che, negli anni, accanto alla distribuzione e vendita dei prodotti da fumo e alla rivendita di valori bollati e postali, si sono visti attribuire l’erogazione, attraverso i circuiti «Lottomatica» e «Sisal», di molti servizi di pubblica utilità, quali l’attività di certificazione e riscossione di tributi locali, tasse automobilistiche, o di pagamento di multe, canoni e bollette, e la funzione di raccolta di giochi come lotto, superenalotto e lotterie istantanee, il tutto a fronte di «aggi» fissi e predeterminati, in percentuale, rispetto ai volumi conseguiti tale evoluzione ha fatto sì che le tabaccherie assumessero sempre più un valore ad alto contenuto sociale ma, al contempo, gli incassi giornalieri ed i beni presenti all’interno dei locali, che costituiscono dei veri e propri valori (tabacchi, ricariche telefoniche, tagliandi delle lotterie, e altro), hanno reso le rivendite di generi di monopolio una delle categorie maggiormente esposte agli attacchi della criminalità: l’ultimo ‘Rapporto intersettoriale sulla criminalità predatoria’ dell’Ossif, centro di ricerca dell’Abi sulla sicurezza anticrimine, segnala infatti una recrudescenza delle rapine in tabaccheria con un andamento annuo costante pari a un aumento del 5,9 per cento; a tale ultimo riguardo occorre evidenziare inoltre come oltre il 90 per cento del denaro che transita nelle tabaccherie deve essere riversato allo Stato o ai concessionari: per questo motivo il singolo rivenditore vittima delle attenzioni della criminalità paga in prima persona i danni subiti; per le stesse ragioni, anche tale categoria ha espresso il suo malcontento, poiché, in ragione di un obbligo ad esercitare una funzione pubblica impostole per legge, rischia di subire un danno derivante da un calo di redditività, soprattutto quando il margine di guadagno dell’operazione di pagamento è inferiore a quello del costo medio da sostenere per la transazione elettronica: in tale contesto la categoria minaccia soprattutto di uscire dal mercato, rifiutandosi di offrire, nello specifico, alcuni servizi di pagamento all’utenza se, da una parte, l’uso di strumenti di pagamento elettronici consente di limitare, se non eliminare, la presenza di denaro contante nei suddetti esercizi (edicole e tabaccherie), riducendone in misura significativa l’esposizione al rischio di rapine, dall’altro esso riduce ulteriormente quei già esigui margini di guadagno imposti per legge. Le società di acquiring, che svolgono le attività relative alla gestione dell’accettazione delle carte di pagamento ed alla negoziazione delle transazioni, hanno fino ad oggi aggirato la gratuità delle transazioni effettuate mediante pagamenti elettronici, nella mancata considerazione che trattasi di milioni di microtransazioni che oggi non hanno la possibilità di transitare sul sistema; tra tutte queste società spicca in senso negativo il comportamento di Setefi, che detiene un abbondante 20 per cento del mercato, la quale, nel periodo di vigenza del regime di gratuità delle transazioni, ha comunicato l’interruzione del servizio ed il recesso dal contratto per sopraggiunta maggiore onerosità, proponendo nuovi contratti con costi assolutamente proibitivi per qualsiasi gestore, a partire dal pagamento di un canone mensile per l’uso del POS correlato al fatturato oscillante da un minimo di 500 euro, per un fatturato annuo pari a 500.000 euro, ad un massimo di 11.000, per un fatturato annuo oltre i 36.000.000 euro. In Italia i costi complessivi legati al mantenimento ed all’uso del POS sono più alti del 50 per cento rispetto alla media europea; l’interchange fee rappresenta circa il 70-90 per cento dell’importo della commissione che viene applicata nel rapporto fra banca dell’esercente e banca del consumatore nel momento della transazione con carte di pagamento; in tale contesto nel luglio del 2013 la Commissione europea, nell’ambito della revisione della direttiva sui servizi di pagamento (payment services directive), ha presentato una proposta di limitazione dell’interchange fee che prevede un tetto dello 0,2 per cento della transazione per le carte di debito e dello 0,3 per cento della transazione per le carte di credito, tetto che per i primi 22 mesi sarà in vigore solo per le transazioni internazionali e successivamente entrerà in vigore anche per quelle nazionali: la stessa UE si aspetta che da questa riduzione derivi una parallela riduzione delle commissioni finali sugli acquisti, impegna il Governo: 1) ad assicurare un abbattimento dei costi fissi del terminale POS, eventualmente anche mediante forme di defiscalizzazione che contemplino il riconoscimento di un credito d’imposta ad assumere iniziative per prevedere la completa gratuità, per ulteriori 12 mesi, delle transazioni effettuate presso le rivendite di giornali e presso le rivendite di tabacchi per servizi prestati dalle stesse, per conto dello Stato, all’utenza, in attesa della completa abrogazione della commissione applicata.
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