Editoria

Crisi e dimissioni cdr: che succede a Repubblica

“Ci definiamo “giornale dei diritti”, ma al nostro interno carenze d’organico, mancate sostituzioni maternità, inadeguate assunzioni di precari alla fine dei loro contratti e tagli di budget, minano l’equilibrio produttivo della redazione e la fiducia in un progetto a più lunga scadenza”. Così l’assemblea dei giornalisti di Repubblica in un documento che, con una sola mossa mette in scacco la direzione e, contestualmente, spinge alle dimissioni il comitato di redazione.

A Largo Fochini le cose non vanno benissimo. Repubblica, nelle vendite, è in picchiata. L’azienda non è felice di come stanno andando le cose e ha dato mandato per una riorganizzazione del giornale. Le solite voci di dentro riferiscono anche di un rapporto traballante tra l’editore e il direttore Maurizio Molinari. Anche perché, a quanto riportano tanti, agli Elkann la linea ostinatamente contro le destre non sembra più piacere granché. Soprattutto da quando Meloni è assurta a Palazzo Chigi.

In un documento, dunque, i giornalisti hanno affermato che “L’irrituale comunicazione della riorganizzazione del lavoro, la riassunzione di un collega che pure aveva preso una buonuscita aziendale – a dispetto della richiesta di dare priorità all’assunzione di precari storici e jobs act – e le deludenti risposte in merito a problemi specifici, costringono l’assemblea dei giornalisti di Repubblica a chiedere un più serrato confronto con direzione e azienda, seriamente mirato al rilancio del giornale su carta e sul digitale”.

La lettera dell’assemblea elenca tutto quello che non sta andando a Repubblica. “A fronte di uno stato di crisi e di un patto per l’innovazione firmato, molti problemi restano irrisolti e si accumulano ritardi inaccettabili. Le nuove iniziative editoriali annunciate nei mesi scorsi non hanno riscontro nei fatti. Va affrontata la questione del marketing e del prezzo del quotidiano, esageratamente superiore a quello di altri. Servono inoltre risposte circostanziate sul calo di copie in edicola. E sul perché si stia rinunciando a un rilancio della carta, che i nostri competitor non ritengono affatto residuale”.

E ancora: “Vogliamo poi denunciare i disservizi all’offerta digitale che vanificano parte del nostro lavoro. L’edizione digitale, focus del rinnovamento, non gode di investimenti concreti. E la strumentazione tecnica è incompatibile con le esigenze di un giornale che sostiene di scommettere sull’innovazione. Chiediamo dunque un dettagliato programma d’investimenti e miglioramenti tecnologici”.

Non è finita qui: “La nostra disponibilità a farci carico di nuovi progetti, tecnologie e modelli di business non è in discussione. Eppure la nostra offerta di collaborazione non trova il sostegno concreto dell’azienda. La questione non più rinviabile dell’organizzazione del lavoro non deve tramutarsi nell’ennesimo aumento dei carichi e deve essere parte di una dettagliata strategia. Chiediamo dunque di presentare un piano all’assemblea di redazione che lo sottoporrà a voto”.

Per l’assemblea: “Non c’è più tempo. I giornalisti di Repubblica sono stanchi di promesse vaghe su risultati che non arrivano. Gli incontri estivi non hanno aperto strade da intraprendere insieme. Eppure il momento storico è tale da richiedere impegni concreti immediati. Siamo determinati ad alzare il livello dello scontro in mancanza di risposte adeguate. Ne va della nostra reputazione ed è nell’interesse dei lettori che ci danno fiducia”.

Il documento, votato a maggioranza, ha indotto il comitato di redazione a rassegnare le dimissioni: con effetto immediato. Il Cdr coglie l’occasione per ringraziare tutti coloro che in questi mesi, pur nei diversi ruoli, hanno collaborato con noi. Il Cdr si attiverà per arrivare a una rapida successione”.

Luca Esposito

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