Possiamo dirlo senza acrimonia: se ci è arrivato anche Vito Crimi, fierissimo avversario dell’editoria e dei giornali in particolare, capo politico di una forza che sul web è nata e s’è cementata e che alla sottocultura digitale s’è ispirata sempre, forse siamo sulla strada giusta.
Sulla pirateria, Vito Crimi ha invocato un cambio di registro. Utilizzando le sue stesse parole: “Bisogna lavorare sulla percezione del reato di pirateria”. Cioé bisogna passare, senza dubbio, dal ritenerlo un fatto minore, quasi una marachella ispirata a un malinteso senso di libertà e di libera circolazione a vero e proprio reato. Perché non solo mortifica la professionalità e l’ingegno di chi a queste opere ha lavorato e lavora, negando loro riconoscimenti economici (base stessa del concetto di lavoro che non è hobby o passione da sfruttare come pure piacerebbe a tanti sedicenti imprenditori anche del ramo editoriale, ma questa è un’altra storia).
Crimi ha tentato anche una mediazione. Spesso la lamentela che oppongono i pirati (attivi o meramente fruitori) è che le opere originali costino troppo. Secondo il capo politico del M5s, solo allargando la base dei clienti “legali” potrà ottenersi il tanto sospirato calo dei prezzi. Del resto questa è una delle regole base dell’economia: i costi dovranno pur essere coperti, il lavoro retribuito e le fughe di entrate costringono all’impennata dei prezzi che, talora, giungono a malapena a coprire i costi.
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