Ecco l’editoriale pubblicato ieri da ‘Il Manifesto’.
Per la prima volta nella nostra storia oggi siamo in edicola contro la nostra volontà, «costretti» a farlo. Avremmo voluto – dovuto – scioperare contro la manovra del governo, come alcuni giornali fanno con motivazioni politiche e molti altri perché costretti dai lavoratori poligrafici. Se, invece, ci leggete è perché attuiamo uno «sciopero alla rovescia», cioè protestiamo lavorando. «Costretti», dicevamo. In primo luogo dalle conseguenze di una serie di manovre economiche (di cui la presente è solo l’ultima) che, pur avendo autori diversi, sono assolutamente coerenti nel tagliare il contributo pubblico per l’editoria cooperativa e no-profit. Fino a cancellarlo. E, con esso, preparare la cancellazione di un centinaio di testate che non avranno più modo d’uscire perché non ci sarà più alcuna compensazione pubblica alla concentrazione dell’informazione e del mercato pubblicitario. Noi siamo una di queste testate e siamo messi talmente male da vederci privati della libertà di sciopero; che – come ben sanno i lavoratori – è una delle libertà più preziose ma anche tra le più fragili essendo minacciata dalla povertà anche quando è garantita per legge.
L’altra cosa che siamo costretti a dirvi è che l’allarme per il nostro futuro è questa volta assai più grave che in passato. Molti tra quelli che ci leggono – più o meno regolarmente – si sono abituarti nel corso degli anni ai nostri allarmi. Diventati forse troppo ricorrenti per essere credibili: un «al lupo, al lupo» che come nella favola a un certo punto non funziona più. Il guaio è che non siamo nella favola, e che questa volta la prospettiva di cessare le pubblicazioni è molto di più che un pericolo, è una concreta possibilità che si può materializzare nell’arco di un paio di mesi.
Perché ai nostri limiti editoriali e ai tagli delle finanziarie, negli ultimi mesi si è aggiunta la crisi economica globale: essere «governati» da mister Spread non è la condizione migliore per la diffusione della libertà di stampa e delle idee, soprattutto se, l’una e le altre, non credono troppo nelle magie dei mercati.
La chiusura del manifesto sarebbe un duro colpo per la sinistra e per la stessa democrazia, che già non gode di grande salute. Per questo dobbiamo ancora una volta – e più che mai – impegnarci. In quella che è molto di più di una sottoscrizione o raccolta fondi a difesa del pluralismo. In realtà oggi serve un pronunciamento pubblico sull’utilità di questo giornale, sulla necessità o meno del nostro lavoro. Quel che vi chiediamo è una partecipazione: di idee – per costruire una cultura e una politica alternativa alla dittatura di mister Spread -, di abbonamenti – per continuare a fornire un luogo di elaborazione e comunicazione alternative. Andando ancora una volta controcorrente, con uno sforzo culturale ed economico che in tempi di crisi rappresenta un atto di resistenza e l’indicazione di un’alternativa.
Nei prossimi due-tre mesi si gioca il nostro destino. Per questo abbiamo lanciato una campagna abbonamenti-sottoscrizione a un prezzo così alto da violare tutte le leggi del mercato: 180 euro per tre mesi di un quotidiano cui sono venuti meno un paio di milioni di finanziamento pubblico. Fate voi il conto di quanti abbonamenti servono per fare quella cifra. Di certo non è una faccenda privata che riguarda solo noi o «solamente» ogni singolo lettore, ma dovrebbe investire tutto il nostro mondo: quanto vogliono investire su di noi i partiti, i sindacati, le associazioni, i gruppi… insomma tutto ciò che un tempo si chiamava «movimento organizzato» e oggi potremmo semplicemente definire come chi ha ancora voglia di cambiare il mondo? Quanti sono i compagni e le compagne, le lettrici e i lettori che in questo movimento organizzato non si riconoscono, ma sono ancora pronti a scommettere sulla necessità del manifesto come bene comune?