Il viaggio tra le redazioni italiane al tempo della pandemia da coronavirus continua. E prosegue con Davide Vecchi, direttore delle testate del Gruppo Corriere, (Corriere dell’Umbria, Siena, Rieti, Arezzo e Viterbo) che ritiene necessario, per il futuro, dedicare spazio all’approfondimento e, intanto, non lesina accuse al governo.
L’arrivo del coronavirus ha cambiato l’approccio quotidiano nella scelta dei temi, nel “pensare” il giornale?
Un giornale riporta quanto accade, quindi l’argomento principale è diventato per forza di cose l’emergenza Covid e quanto connesso alla pandemia.
E’ cambiato, e se sì come, il rapporto con i lettori, specialmente nei contesti locali?
La chiusura dei bar, dei luoghi pubblici in genere e di molte edicole, già in difficoltà prima dell’emergenza, hanno ridotto sensibilmente la diffusione dei giornali, complice anche l’impossibilità di uscire di casa dei cittadini. Eppure, nonostante queste pesanti limitazioni, i lettori hanno rivolto molta attenzione alle notizie locali, cercando informazioni il più strettamente legate al loro territorio, città, quartiere e, se avessero potuto, persino condominio. La curiosità di ciò che accade nelle vicinanze immediate è aumentata notevolmente.
Come è cambiato, materialmente, il lavoro in redazione?
Noi siamo stati tra i primi a livello nazionale a mettere tutti i redattori a lavoro da casa. Dal 12 marzo nelle sei redazioni dei cinque quotidiani locali del gruppo Corriere solamente i caporedattori hanno avuto accesso e soltanto da inizio maggio abbiamo iniziato a far rientrare i grafici.
Crede che le limitazioni dovute al carattere eccezionale dell’emergenza covid potranno avere ripercussioni sul futuro dei giornali e del giornalismo?
L’organizzazione del lavoro alla quale siamo stati costretti ha fatto emergere i limiti pregressi e darà l’opportunità di migliorare qualità e costruzione dei giornali. I lettori vogliono una informazione esaustiva e seria. E sono sempre più convinto che solamente puntando all’approfondimento i giornali potranno avere una nuova vita. La pandemia potrebbe proprio segnare il momento di svolta che da anni ormai molti invocano verso una stampa più autorevole e finalmente autonoma. Per capirci, se smettessimo di riportare gli annunci e i buoni propositi dei politici come fossero notizie e scrivessimo invece solo quando quei propositi e quegli annunci diventano realtà, quindi quando si trasformano in fatti, segneremo un importante punto di rinascita.
Ha sentito vicinanza o lontananza delle istituzioni rispetto al mondo dell’informazione?
Perché le istituzioni, il Governo ha forse pensato all’informazione? Non solo non è stato minimamente considerato il settore – basti pensare come siano stati trattati free lance e operatori del settore – ma c’è stata una frequente mancanza di rispetto nei confronti degli stessi giornalisti che cercavano di porre domande o sollevare dubbi. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte che invece di rispondere ai quesiti dei cronisti ribatteva in maniera spocchiosa rende quanto e come sia considerata la stampa.
Come se ne esce dalla crisi?
Se avessi la ricetta non la direi, per non infastidire Conte. Seriamente, impossibile da dire. Anche perché credo che al momento non abbiamo la minima cognizione di quella che sarà la vera crisi, quella che si paleserà da settembre in poi. Serviva coraggio subito. Andava semplificato tutto a inizio marzo. Invece Conte solamente il 26 maggio ha dichiarato la volontà di alleggerire la burocrazia. Ed è sembrata una battuta visto che ha trascorso i mesi precedenti a complicarla. Ma certo se non ingarbugli come puoi semplificare?
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