Coronavirus. Paolo (Il Roma): “Ripartire dalla tecnologia ma c’è da lavorare sui suoi limiti”

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Dal Nord, al Sud: dopo il Piemonte, il viaggio di Editoria.tv tra i giornali al tempo della pandemia da coronavirus tocca Napoli. Sui problemi ma anche sulle prospettive e sulle opportunità nascoste della crisi, abbiamo ragionato con Roberto Paolo. Vicedirettore dello storico e prestigioso “Il Roma”, Paolo – che è presidente della Federazione italiana dei Liberi Editori – conosce bene la realtà della stampa e non solo di quella napoletana.

L’avvento dell’epidemia ha radicalmente mutato le abitudini e la vita di tutti. Ha cambiato anche l’approccio del giornale alla sua realtà di riferimento? 

Il “Roma” è un giornale che nasce nel 1862 e nel secolo scorso si afferma come voce meridionalista, concentrata in particolare sulle realtà della Campania, della Puglia e della Basilicata. Negli ultimi anni, l’approccio si è sempre più focalizzato sulle notizie locali e anche iperlocali. L’avvento dell’emergenza Coronavirus ha cambiato anche l’organizzazione delle notizie all’interno del giornale: si è ridotto moltissimo lo spazio dedicato allo sport, agli spettacoli e alla cronaca nera; dall’altro verso, però, è aumentata la copertura delle notizie nazionali e internazionali. Raccontiamo un fenomeno, quello del Coronavirus, che ha assunto dimensioni globali che non possono non interessarci, specialmente riguardo al dibattito sulle risposte economiche all’emergenza che il mondo, l’Europa e l’Italia stanno mettendo in campo.

Però non abbiamo perso di vista le realtà locali, anzi: raccontiamo ancor di più quello che accade nei comuni, anche in quelli più piccoli. Una realtà che si porta dietro il suo carico di lutti, di storie, di solidarietà e di organizzazioni diverse che le comunità stanno dandosi. Si potrebbe parlare di un approccio compiutamente glocal: presente sul piano globale e, contemporaneamente, su quello della vita di tutti i giorni e locale.

 

In che chiave si sta sviluppando il rapporto con i lettori?   

Noi del “Roma” abbiamo cercato di offrire ai nostri lettori, oltre alle informazioni, anche dei presidi di protezione. Abbiamo distribuito numerose mascherine. E lo abbiamo fatto regalandole, senza alcun sovrapprezzo rispetto al costo del giornale. Siamo riusciti a farlo sia acquistando direttamente le mascherine dai produttori, sia usufruendo di liberalità e donazioni da parte degli stessi o di altri imprenditori, in parte utilizzando la formula del cambio merci. È una iniziativa che ha avuto molto successo e, credo, abbia stretto ancor di più il legame tra i lettori e il giornale,  rafforzandone lo spirito di comunità.

Oltre a questo, c’è da rimarcare come le restrizioni sulla circolazione abbiano allontanato i lettori dalle edicole, sancendo così il boom del digitale. La domanda di informazione online, sia essa a pagamento o gratuita, è cresciuta moltissimo.

 

E’ cambiato anche il modo di fare, materialmente, il giornale che arriva in edicola? 

È stato completamente stravolto. Perché, eccettuata la preziosa presenza dei poligrafici che fanno da insostituibile raccordo tra i giornalisti e le nostre tipografie, abbiamo dovuto sostanzialmente chiudere la redazione. Ciò ha comportato l’utilizzo massiccio del telelavoro sia per la produzione delle pagine del quotidiano, sia per le riunioni che si sono tenute attraverso le videochiamate, anche collettive. Abbiamo potuto scoprire, però, anche il lato negativo del telelavoro. Abbiamo e stiamo affrontando diversi problemi, sia in termini di software che di connettività, dobbiamo superare e creare nuove “abitudini”, e lavorare sulle difficoltà che naturalmente insorgono nel coordinamento di più persone via telematica. Stiamo scoprendo, dunque, che il telelavoro pone molte difficoltà che in futuro dovremmo imparare ad affrontare. Si pensi a quanto sia cambiata la semplice operazione della correzione delle pagine: prima in redazione avveniva su carta e con la penna, adesso occorre farlo per forza in digitale, con maggiore dispendio di energie e lavoro e risultati non sempre ottimali.

Da più parti si sente che “non saremo più come prima”. Cosa cambierà nel giornalismo? 

Sapevamo che, prima o poi, il digitale avrebbe “superato” la carta. È successo, e sta accadendo proprio ora: quello che pensavamo sarebbe stato un processo più lento e graduale si sta imponendo, rapidamente e quasi brutalmente, nella realtà di oggi. Credo che siamo ad uno spartiacque e che tornare indietro non sia più possibile. La seconda  conseguenza riguarda la necessità di dotarsi di un’organizzazione del lavoro nuova. Bisognerà investire molto in nuovi software, ampliare gli orizzonti e gli utilizzi della tecnologia, formare il personale all’uso dei programmi informatici e delle strategie di comunicazione del web. Infine, credo che bisognerà ripensare, più banalmente, al lavoro di redazione così come lo conosciamo oggi: non credo che torneremo a distanze ravvicinate, tutti insieme a scrivere, a confrontarci e a selezionare le notizie negli open space.

 

Ha sentito la vicinanza da parte delle Istituzioni alla stampa in questo delicatissimo frangente? 

Non abbiamo sentito la vicinanza delle istituzioni; in alcuni comuni, addirittura, i sindaci (come accaduto in Campania nel fine settimana di Pasqua o in altre domeniche) hanno chiuso le edicole, adottando provvedimenti che, secondo me, sono al limite della tenuta costituzionale. Inoltre, è accaduto che alcune pattuglie delle forze dell’ordine abbiano multato i cittadini che si recavano in edicola a comperare i giornali, del tutto illecitamente perché andare in edicola è permesso e perfettamente legale. Tutto ciò ha disincentivato i lettori all’acquisto dei quotidiani cartacei. Per quanto riguarda il governo nazionale, mi pare abbia balbettato sui provvedimenti di supporto all’editoria. Per ora devo dire che le soluzioni prospettate appaiono totalmente insufficienti e sembrano privilegiare solo i grandi editori. Non si vedono provvedimenti dedicati ai piccoli editori né ai giornali locali che rappresentano, di fatto, la spina dorsale dell’informazione in un Paese composto di circa 9mila comuni a cui le testate nazionali non dedicano alcuna copertura. Speriamo che il governo in questi giorni si ravveda e imbocchi una direzione diversa: rischiamo di veder scomparire centinaia di testate provinciali e regionali, che, per inciso, sono quelle che hanno più difficoltà a convertirsi alla digitalizzazione necessaria nello scenario futuro.

 

Come si uscirà dalla più grave crisi dal Dopoguerra ad oggi?

Credo che dovremo investire in tecnologia e cambiare il nostro approccio con le fonti. Un problema che stiamo avendo è quello di andare in strada o negli uffici e avvicinare, fisicamente, le fonti. La situazione sanitaria rende tutto questo molto difficile. Sarà dunque necessario cambiare approccio e sviluppare competenze maggiori nel fare inchieste attraverso i sistemi di comunicazione digitali. Sviluppare di più le fonti reperibili sulla rete o attraverso la rete dei social.

Credo, infine, che sia importante che la tecnologia sviluppi sistemi di pagamento sempre più raffinati e accessibili per l’acquisto di copie e articoli online. Si andrà sempre più verso la fruizione digitale dell’informazione ma i sistemi che accettiamo oggi sono onerosi per noi e poco vicini alle necessità dei lettori. Non si può pensare di acquistare giornale solo con carta di credito oppure con Paypal, servono strumenti adatti ai giovani, come i pagamenti attraverso i gestori di telefonia mobile. Occorre sviluppare un sistema di micropagamenti in grado di gestire più facilmente queste transazioni e di contenere i costi delle commissioni che per ora, commisurate ai pagamenti minimi, sono altissime e rendono difficile e poco remunerativa la vendita di singole copie di giornale, per non parlare della vendita di singoli articoli o singole sezioni, che invece rappresenta secondo me il futuro dell’informazione digitale.

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