Coronavirus. Di Scanno (L’Inchiesta): “Giornalisti ora reagiscano all’appiattimento”

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Editoria.tv prosegue il suo tour tra le redazioni dei giornali italiani nel periodo, forse, tra i più duri della storia recente del nostro Paese. La pandemia da coronavirus resta un pericolo vero dal punto di vista sanitario ma adesso sono i problemi economici che iniziano a imporsi all’attenzione del dibattito pubblico. Ne abbiamo parlato con Stefano Di Scanno, direttore del giornale L’Inchiesta di Cassino (Fr).

L’arrivo del coronavirus ha cambiato l’approccio quotidiano sui territori da parte del giornale? 

Il Covid-19, per una piccola coop giornalistica in piena autogestione e senza sponsor di riferimento come la nostra, ha rappresentato il colpo di grazia per l’edizione cartacea, giù ridotta ai minimi di vendite prima dell’emergenza sanitaria. La sospensione delle pubblicazioni, col crollo ulteriore di copie e l’annullamento dei già insufficienti contratti pubblicitari, è stata una scelta obbligata per non esporre la società editrice ad un indebitamento insostenibile. Abbiamo trasformato il giornale in edizione esclusivamente digitale che viene pubblicata ogni sera dopo le ore 17, per attribuirle almeno un carattere di freschezza rispetto ai contenuti di giornata. L’inchiesta-Quotidiano è tornata alle pubblicazioni il 2 dicembre 2010 come quotidiano con distribuzione nelle edicole della provincia di Frosinone (tra il 1995 ed il 2000 era stata editata con cadenza prima mensile e poi settimanale da altra coop).

E’ cambiato, ed eventualmente come, il rapporto con i lettori?

I lettori di riferimento de L’inchiesta rappresentano una nicchia ben individuabile in base a temi specifici oltre che al radicamento territoriale nel Cassinate. Acqua pubblica, inquinamento, crisi industriali e disoccupazione, sociale e povertà, sanità pubblica, ciclo dei rifiuti, sono i settori affrontati con una linea editoriale fondata sull’approccio critico nei confronti delle classi dirigenti e delle decisioni centralizzate rispetto ad un territorio marginale come quello che, nel Lazio meridionale. Quindi abbiamo dato spazio, ovviamente, al Coronavirus ma conservando lo scetticismo che riteniamo utile non far venir meno nei confronti del sistema di potere.


E’ cambiato il lavoro materiale in redazione?

La nostra piccola redazione ha fatto ricorso al lavoro agile lasciando il solo direttore negli uffici redazionali. Una soluzione che prevediamo di confermare almeno fino al 31 dicembre, nella speranza che ci siano novità in grado di mutare la prospettiva che allo stato s’è delineata.


Quali conseguenze l’epidemia avrà sui loro giornali e sul futuro della stampa locale o di settore?

Il settore era già in crisi nerissima e le stesse misure che il presidente File ha avanzato al sottosegretario Martella ben evidenziano le necessità difensive rispetto a quel che resta dell’informazione locale. Apprezziamo, dal nostro punto di vista, soprattutto il riferimento di Roberto Paolo all’impossibilità per molte aziende di mantenere in piedi periodicità, tirature e distribuzioni pre-Covid. Ma sicuramente non si vedono nel panorama attuale modelli informativi che possano essere ritenuti validi dal punto di vista giornalistico e contestualmente sostenibili sotto il profilo economico.

Ha sentito vicinanza o lontananza delle istituzioni?


In tempi non sospetti abbiamo avanzato la richiesta di sottrarre definitivamente la gestione del contributo pubblico alla Presidenza del Consiglio e di affidarlo alla Presidenza della Repubblica. Se non si toglie alla politica la possibilità di sopprimere la libera informazione, resterà sempre il rischio che qualcuno prima o poi possa spegnere giornali e media o spingerli definitivamente al servizio dei potentati e delle lobby affaristiche. Il punto centrale a me è sempre parso questo. Il coinvolgimento dei lettori nel garantire linee editoriali coerenti e trasparenti deve essere poi un passaggio necessario – se non una vera e propria condizione -, affinché il denaro dei contribuenti possa essere concesso agli organi di informazione.


Come se ne esce?

L’uscita dalla crisi dipende soprattutto, se non essenzialmente, dai giornalisti. I Cinquestelle ci hanno solamente messo davanti allo specchio e ci hanno fatto avvertire quanto discredito circondi il mondo dell’informazione nell’opinione pubblica. La necessità è di reagire all’appiattimento generalizzato dei contenuti e dei temi. Tornare al servizio dei lettori, a criticare il Palazzo, a scavare nella realtà. Cose di cui spesso a noi operatori del settore piace riempire la bocca più che le pagine.

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