In questo week-end sta avendo luogo la decima edizione del convegno “Crescere tra le righe”, organizzato a Borgo La Bagnaia dall’Osservatorio Permanente Giovani Editori. Il dibattito nella prima giornata è stato incentrato principalmente sulle fake news e sull’editoria digitale. Ad esso hanno partecipato importanti cariche internazionali: il vicepresidente di Google News Richard Gingras, l’ad di Facebook Alex Hardiman e il direttore Global Content Partnerships di Twitter , Peter Greenberger. Proprio Hardiman si è scusato per il ruolo attivo di Facebook nella veicolazione delle notizie prive di fondamento. Le sue scuse riecheggiano quelle del principale, Mark Zuckerberg, di fronte alle istituzioni comunitarie, per lo scandalo privacy che ha coinvolto Facebook e Cambridge Analytica. Innanzi al Parlamento Europeo, Zuckerberg ha promesso una maggiore prevenzione della privacy, da attuare con il blocco delle applicazioni sospette. Tuttavia il recente scoppio di un nuovo caso relativo alla violazione dei dati sensibili, quello della app Mypersonality, getta qualche ombra sulle buone intenzioni di Palo Alto. Ma torniamo a Bagnaia.
Il fronte più acceso è stato sicuramente quello delle notizie false. Sfruttando la caratteristiche principali dei social, la condivisione, le fake news vengono abbellite, integrate e propagate da utenti ignari della verità. Pertanto le fake news possono dare origine a vere e proprie “Catene di Sant’Antonio”, che danneggiano il sistema generale dell’informazione. Per combattere questo fenomeno il presidente del convegno, Andrea Ceccherini, ha annunciato il lancio di una nuova iniziativa, “A caccia di bufale”. Il progetto è rivolto agli studenti in età liceale e ha l’obiettivo di creare in età verde la sensibilizzazione verso un modello di informazione senza filtri e storture. Questo insieme alle azioni degli stessi social, che si sono mossi nell’ultimo anno, sia per loro conto, sia cercando la collaborazione della loro stessa utenza. Al dibattito sul tema hanno dato il loro contributo anche i direttori di quotidiani importanti d’oltreoceano, Mark Thompson del Wall Street Journal e Martin Baron del Washington Post. Pur non negando il fenomeno, i giornalisti hanno rivendicato l’importanza della professionalità come mezzo per far trionfare la verità fattuale. Tutto giusto, ma in Italia il ruolo dei cronisti viene messo forse troppo spesso in discussione. Polemiche che contribuiscono all’alimentarsi delle fake news, a dispetto di erronee considerazioni su un ruolo attivo dei giornalisti nella costruzione delle stesse.
Infine gli stessi direttori americani hanno sottolineato l’importanza del digitale nell’evoluzione dell’informazione. In America il 38% dei ricavi deriva dal digitale, a fronte del 62% assicurato agli editori dalla carta stampata. Gli analisti assicurano che nel giro di pochi anni avverrà il sorpasso. Al momento in Italia, in base ad una recente indagine Agcom, esiste una bipartizione dei modelli di business: la maggior parte delle testate si finanzia con la pubblicità; altre offrono i loro contenuti specializzati a una clientela professionale. Non esiste alcuna offerta capace di stimolare i consumatori a pagare contenuti informativi di tipo generalista. Le testate generaliste, pertanto, utilizzano criteri ideologici e geografici per arrivare alla differenziazione del prodotto informativo.
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